Storie di resilienza dal colore arcobaleno
Giugno è il Pride Month, il mese in cui la comunità arcobaleno festeggia la continua e lenta conquista dei diritti indispensabili per vivere senza discriminazioni, tra passi avanti e passi indietro.Il Gay Center, la casa di tutte le persone LGBTQIA+, è un luogo accogliente, situato nel cuore di Roma, che promuove servizi, iniziative e cultura per il benessere e i diritti di omosessuali e transgender, aiutando le persone a raggiungere il loro pieno potenziale.
“La comunità LGBTQIA+ è tessuta non solo di storie dolorose, ma anche di resilienza e capacità di sfidare le contraddizioni del mondo: una comunità forte, determinata a ottenere il riconoscimento che merita” hanno spiegato Alessandra Rossi e Marina Marini, Coordinatrici di due delle iniziative promosse dal Gay Center: la Gay Help Line, il contact center nazionale antiomofobia e antitransfobia per persone gay, lesbiche, bisessuali e trans, e Refuge, la prima Casa LGBT aperta in Italia che offre servizi di prima ospitalità ai ragazzi/e tra i 18 e i 26 anni vittime di omolesbobitransfobia.
Che cos’è e come è nato il Gay Center?
Alessandra: Il Gay Center non è solo un’associazione LGBTQIA+, ma è una casa per diverse associazioni. È nato dall’idea di far convergere l’intento e la mission del Comitato Romano dell’Arcigay, insieme ad altre realtà, tra queste, Differenza Lesbica e Azione Trans. Queste associazioni hanno unito le forze per sviluppare un progetto che mira a creare un canale di ascolto sicuro per le persone che subiscono pregiudizi omo-lesbo-bi-transfobici.
Il via a questo progetto lo ha dato un episodio significativo per la Comunità, ovvero il brutale omicidio di Paolo Seganti, un giovane uomo gay, avvenuto in una notte d’estate del 2005 nel Parco delle Valli a Roma. Fabrizio Marrazzo, all’epoca alla guida del Gay Center, è riuscito a mobilitare le istituzioni per rispondere concretamente a quello che comporta il pregiudizio e lo stereotipo, ovvero il momento in cui si trasforma in odio e violenza. Il Comune di Roma ha fornito un sostegno decisivo per la creazione della Gay Help Line (800713713), un contact center nazionale che offre ascolto e supporto alle vittime di discriminazione omo-lesbo-bi-transfobica.
Quante chiamate riceve la Gay Help Line in un anno?
Alessandra: Quest’anno abbiamo gestito 21.000 contatti, che includono telefonate, chat, moduli di contatto web, interazioni sui social e e-mail.
Il nostro Osservatorio ci conferma che l’omotransfobia è una realtà molto concreta oggi. Le richieste di supporto stanno aumentando e diventano sempre più dettagliate, indicando una crescente consapevolezza su come il pregiudizio opera e quali impatti genera. Quello che rileviamo attraverso il monitoraggio è un forte peso sui ragazzi e le ragazze che fanno coming out che riflette un’omogeneizzazione nel discorso pubblico su posizioni ideologiche e una persistente descrizione pregiudizievole delle identità sessuali e di genere in vari contesti. Questo impedisce la diffusione dell’idea che una maggiore conoscenza può aiutare a superare pregiudizi e paure, poiché la violenza ha spesso radici nella paura.
Che tipo di supporto viene richiesto durante le telefonate?
Alessandra: Durante le telefonate, il 51% dei nostri contatti proviene da ragazzi/e sotto i 26 anni. Quello che offriamo è supporto psicologico e psicoeducativo per affrontare il minority stress, aiutando le persone a sentirsi accettate e supportate. Interveniamo anche nelle scuole per affrontare le difficoltà create da un ambiente che non riconosce adeguatamente le identità LGBTQIA+. Mettiamo a disposizione anche supporto legale per casi di aggressione e maltrattamenti e aiutiamo genitori a comprendere e supportare i percorsi di affermazione di genere dei loro figli/e, promuovendo approcci non patologizzanti. Forniamo, inoltre, un servizio dedicato alle persone migranti LGBTQIA+ che fuggono dai paesi in cui essere omosessuali o transgender è perseguitato. Qui in Italia, queste persone affrontano sfide aggiuntive legate alla migrazione: le forme di pregiudizio diventano intersezionali e noi cerchiamo di dare delle risposte che tengano in considerazione questo punto di vista che la realtà fatica a riconoscere.
Parliamo di Refuge, la prima Casa Lgbt aperta in Italia. Come possono accedere i giovani inquesta struttura?
Marina: I giovani possono contattarci tramite il numero verde 800713713, la chat o i moduli online. Riceviamo occasionalmente segnalazioni da altre associazioni della comunità, ma la maggior parte delle richieste proviene dai nostri canali interni.
Oltre al finanziamento dell’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), possiamo portare avanti questo progetto grazie al finanziamento dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai e Chiesa Valdese.
Che tipo di accoglienza viene fatta a questi ragazzi?
Marina: Il network di Refuge LGBT+, dal 2016 ad oggi ha accolto centinaia di giovani in difficoltà a causa del proprio orientamento sessuale o identità di genere. Refuge è una casa-famiglia che può ospitare fino a 8 persone, dai 18 ai 26 anni, e oltre a fornire un letto e un pasto, offre una serie di servizi per supportare i ragazzi e le ragazze nel loro percorso di crescita personale, inclusa l’assistenza nella formazione scolastica o lavorativa, con l’obiettivo di promuovere la loro autonomia.
La discriminazione inizia prevalentemente in ambito familiare, sia per l’orientamento sessuale che per l’identità di genere, spesso manifestandosi con violenze fisiche o psicologiche. La mancanza di conoscenza su questi temi, influenzata da stereotipi e pregiudizi diffusi, rende difficile affrontare la situazione in modo equo. Ogni anno riceviamo oltre 400 richieste di accoglienza, ma con soli 8 posti disponibili non possiamo soddisfarle tutte. Ci impegniamo attivamente nel fornire supporto attraverso reti di collaborazione e risorse disponibili per aiutare il maggior numero possibile di persone in difficoltà.
Refuge è la casa per le vittime di omolesbobitransfobia in Italia. Quali sono le altre?
Marina: Attiva dal 2016, Refuge ha assistito oltre 100 persone, e ha ispirato la creazione di altre strutture simili in Italia dedicate all’accoglienza delle vittime di omolesbobitransfobia.
Attualmente in Italia sono attive tredici strutture: una a Torino, una a Milano, una a Bolzano, una a Reggio Emilia, una a Crema, una a Bologna, due a Napoli e cinque a Roma, fornendo un totale di meno di 100 posti letto in tutto il Paese.
Nei casi in cui la violenza proviene dalla famiglia, offrite anche supporto nella mediazione familiare?
Marina: Offriamo questo tipo di supporto quando vediamo che c’è la possibilità di farlo. Nei casi di violenza fisica con conseguenze giudiziarie, è più difficile immaginare una mediazione familiare. Quando possibile, sempre con l’accordo della persona ospite, contattiamo le famiglie per capire se il rifiuto è dovuto alla mancanza di informazioni. Spesso, la percezione della comunità LGBTQIA è distorta e negativa, e i genitori temono per il futuro dei loro figli/e. Ricostruire la realtà, mostrando una visione più positiva e informata, può migliorare notevolmente le relazioni familiari.
Che ruolo svolge la rete di Arcigay?
Alessandra: La rete di Arcigay svolge un ruolo fondamentale come ente segnalante grazie alla sua presenza capillare a livello nazionale. Sebbene la nostra associazione operi solo a Roma, la partnership con Arcigay ci consente di raggiungere e contattare situazioni marginali rispetto a Roma capitale. Inoltre, Arcigay offre un supporto attivo e collaborativo nelle azioni di contrasto alla violenza.
In Italia, manca una volontà istituzionale di uniformare un sistema per prevenire e contrastare la violenza e le iniziative nascono autonomamente sul territorio. Tuttavia, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali ha recentemente finanziato l’apertura di centri antidiscriminazione attraverso bandi. Purtroppo, la stabilità di questi finanziamenti non è stata garantita, poiché il fondo previsto dalla legge di bilancio del 2021 non è stato rinnovato, ma solo prorogato. Questo meccanismo ha permesso alla rete di Arcigay di aprire vari centri antidiscriminazione. La Gay Help Line e Refuge costituiscono la prima esperienza di questo tipo, e rimangono il centro antidiscriminazione di Roma, in rete con tutti gli altri centri Arcigay a livello nazionale.
Un’esperienza o un episodio che è stato particolarmente significativo.
Marina: Normalmente mi vengono in mente le storie più difficili, quelle in cui le persone sembrano dover scalare una montagna senza nemmeno le scarpe da trekking. Ma oltre a queste esperienze complesse, le storie che mi restano nel cuore sono quelle in cui i ragazzi/e acquisiscono non solo autonomia, ma anche il coraggio per affrontare le difficoltà della vita. La vita è complessa per tutti, ma chi ha ricevuto il sostegno di una famiglia trova più facile orientarsi nel mondo. Molte delle persone che assistiamo, invece, hanno ricevuto solo rifiuti, spesso non violenti ma comunque dolorosi. Il nostro lavoro consiste nel colmare questo vuoto e aiutarli a orientarsi nel mondo adulto, insegnando loro a gestire le sfide pratiche e a trovare il proprio cammino.
Alessandra: Quando mi viene posta questa domanda, penso automaticamente alle ultime conversazioni che ho avuto. Questo accade perché il vissuto di queste persone mi rimane dentro e riattiva storie passate, tutte segnate dal pregiudizio e dall’esclusione.
Ogni singolo episodio è ugualmente significativo. Posso ricordarmi di aver parlato con una donna trans licenziata ingiustamente. Posso ricordarmi che da qualche parte in Italia, in questo momento, c’èun ragazzino chiuso nella sua stanza tutto solo perché i genitori sostengono che il dubbio sulla sua identità di genere sia soltanto una fase passeggera. Posso ricordarmi di quel ragazzo migrante che hasubito una violenza sessuale. Ma la comunità non è fatta solo di storie dolorose. La comunità è anche quella che abbiamo visto al Pride di Roma e in tutti i Pride che colorano l’Italia. La comunità è fatta di storie di resilienza: riconoscere e depotenziare questi meccanismi mi ha reso capace di leggere le contraddizioni nella realtà, una competenza che ogni persona LGBTQIA+ deve imparare per affrontare i tanti coming out della sua vita. Quella che voglio restituire è l’immagine di una comunità forte, che lotta per legittimare la propria visibilità.