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Si può cancellare ciò che è stato fatto nel passato? Quello che non sapevi sul fenomeno della “Cancel Culture”

“Cancellazione” o “Risignificazione”: qual è il modo migliore di definire l’ondata di proteste raggruppate sotto la generica (e negativa) definizione di “Cancellazione Culturale”?

Dopo la formazione di movimenti come il Me Too e il Black Lives Matters, numerosi gruppi si sono mobilitati su piazze virtuali e fisiche per lottare contro le discriminazioni e le violenze di ogni genere. Mentre le città vedevano decadere statue e monumenti che trasmettevano tracce di una storia efferata, e le opere artistiche e letterarie subivano rivisitazioni e modifiche nel loro stile, l’opinione pubblica si divideva tra promotori e oppositori verso tali gesta.

Le iniziative, intanto, venivano raggruppate sotto il generico nome di “Cancel Culture”, un termine fuorviante, complesso da comprendere e che dà spazio a un quesito: il fenomeno rappresenta qualcosa di negativo che mira ad eliminare la cultura occidentale o un movimento positivo improntato sulla giustizia sociale?

Ha risposto Veronica Granata, docente all’Università di Liegi, specialista di storia della censura in età Moderna e Contemporanea e docente nel Master “Cancel Culture. Storia, Politica, Cultura” dell’Università degli Studi Niccolò Cusano, diretto dalla professoressa Alessia Lirosi.

Prima di tutto: cosa significa Cancel Culture e perché se ne sente sempre più spesso parlare?
La cosiddetta “Cancellazione della Cultura” è un fenomeno molto difficile da inquadrare e può cambiare di significato a seconda di chi ne parla o del contesto in cui è inserito. Lo potremmo descrivere come un agglomerato di attività attraverso le quali si tenta di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica su delle disuguaglianze sociali, delle discriminazioni o delle violenze che hanno riguardato dei gruppi o delle minoranze nel passato e che continuano ancora oggi a manifestarsi. La particolarità di queste proteste è che utilizzano i social media per denunciare le questioni di interesse che generalmente riguardano: il razzismo, il colonialismo, il sessismo, le discriminazioni in generale e il degrado ambientale.

Quale risvolto ha avuto la Cancel Culture nell’ambito artistico e letterario?
Per riuscire a rispondere alla domanda e per capire da cosa è scaturito il fenomeno, è necessario fare un passo indietro nella storia. Il mondo occidentale, infatti, attraverso la colonizzazione, ha praticato in maniera massiccia la cancellazione di altri popoli e culture e, oggi, proprio questi ultimi stanno tornando in superficie a chiedere giustizia. La Cancel Culture viene, quindi, tradotta come una messa in discussione della cultura occidentale nel suo insieme perché per secoli è stata considerata un modello dalla validità universale.
Se pensiamo poi all’aspetto artistico e letterario, ciò emerge ancora più visibilmente: basti riflettere sul programma proposto all’interno di scuole e università che, per chi sostiene questo movimento, è semplicemente il frutto di una selezione operata da un’élite intellettuale, bianca e maschile. 
Parlo di “movimento” in senso generico perché gli attivisti e i difensori di quella che è stata definita Cancel Culture contestano l’uso dispregiativo di questo termine, parlano piuttosto di una “cultura della contestazione” e di protesta in difesa della giustizia sociale e dei diritti civili. 
Il concetto è stato forgiato da chi, invece, si oppone al movimento, per questo è stata scelta una forma negativa come la “cancellazione”. Inquadrare bene il fenomeno è però  fondamentale per evitare che possa essere tradotto e utilizzato a sproposito.

Ovvero?
L’esempio di uso erroneo più recente è quello russo: da quanto ha avuto inizio il conflitto in Ucraina, abbiamo assistito alla soppressione, tanto in Europa quanto in America, di alcuni eventi incentrati sulla cultura del Paese. Il Governo russo ha parlato di Cancel Culture, ma in realtà siamo di fronte a scelte prese da singole università, singoli teatri o singole organizzazioni che hanno applicato forme di boicottaggio culturale che da sempre si verificano in tempo di guerra. Tali iniziative non sono collegate alle nuove forme di attivismo e di mobilitazione collettiva. 

Oltre al caso russo, si sono verificate situazioni in cui gli attivisti hanno toccato opere di “mostri sacri” della letteratura mondiale, basti pensare a Shakespeare, Dickens o Austen. Questo ha scatenato non poche polemiche nell’opinione pubblica, arrivando perfino a parlare di censura.
Anche questo modo di leggere il fenomeno potrebbe essere fuorviante. La censura è un fenomeno che affonda le sue radici nel passato ed è un’azione legittimata e condotta dalle istituzioni, siano queste civili o religiose. La Cancel Culture ha delle proprie peculiarità che non possono essere trascurate, ad esempio il fatto di utilizzare i social media per denunciare il monopolio esercitato per secoli dai gruppi dominanti sui mezzi di comunicazione e informazione tradizionali. In questo senso, affermano i difensori della Cancel Culture, i social media rappresentano libertà ed emancipazione per tutte quelle voci che non hanno trovato posto nello spazio pubblico. Si ha, però, un altro risvolto. In passato era il potere dall’alto a decidere cosa si potesse o non si potesse dire. Oggi, soprattutto attraverso i social, chiunque può essere attaccato per le proprie affermazioni, e chiunque può prendere l’iniziativa di mobilitare delle folle digitali contro un individuo, un artista, uno scrittore e un’opera letteraria. 

Per capire meglio il fenomeno in ambito letterario, quali sono le proteste più significative emerse negli ultimi anni?
Spesso, le contestazioni partono da delle espressioni quali, ad esempio, “male gaze” o “whitegaze”, che letteralmente significano “sguardo maschile” e “sguardo bianco”. I nomi di per sé fanno capire molto.
Nel primo caso, la protesta si concentra sul modo di raffigurare la donna nella letteratura e nell’arte in generale. Le opere, infatti, sono spesso atte a soddisfare le aspettative di un pubblico maschile ed eterosessuale, rappresentando così la donna come l’oggetto del desiderio. Un’opera accusata di attuare questo tipo di sguardo è quella di un autore francese del Settecento, André Chénier, all’interno della quale viene descritta in maniera esplicita una violenza sessuale. La poesia è stata oggetto, nel 2017, di una lettera aperta di alcune studentesse verso l’opinione pubblica e le commissioni di concorso. Le studentesse, in questo caso, segnalavano come gli insegnanti, nel commentare l’opera, sottolineassero i soli aspetti estetici e letterari, lasciando nell’ombra gli abusi. Questo è un esempio di ciò che è la Cancel Culture, ovvero la volontà di rileggere alcuni testi alla luce di nuove sensibilità.

Mentre il “white gaze” in che modo viene contestato?
Nel caso dello “sguardo bianco”, si contesta la “santificazione” dell’individuo bianco, che rispecchia il target di pubblico per cui venne scritta l’opera stessa. A proposito di questo si può citare “Via col Vento” di Margaret Mitchell, un successo planetario che manifesta una rappresentazione edulcorata dello schiavismo nell’Ottocento, prima e durante la guerra di Secessione americana. Nel romanzo (e nel conseguente film) si mostra l’affettuosità che gli schiavi rivolgono ai padroni, omettendo la violenza a cui queste persone erano sottoposte. Per tale motivo il lavoro è stato considerato intriso di messaggi velatamente razzisti e impregnati dello “sguardo bianco”.
Un altro caso è quello dell’opera di Harper Lee, “Il buio oltre la siepe”, dove viene valorizzato un avvocato bianco che decide di difendere un imputato nero, ereggendo il primo a paladino dell’antirazzismo. Tutto questo oggi viene rivalutato, suggerendo come, spesso, vengano messe in risalto le virtù dei bianchi lasciando in secondo piano la questione delle discriminazioni razziali.

Piuttosto  di “cancellazione”, si può quindi parlare di “risignificazione”?
Questo è esattamente ciò che, personalmente, reputo il lato sano della Cancel Culture, ovvero l’attività di rilettura delle opere del passato con un nuovo sguardo. Infondo, i capolavori, meritano sempre di essere riletti e reinterpretati alla luce della modernità. Dall’altro lato non possiamo nascondere che esista la volontà e la tendenza di voler cancellare e abolire lo studio di determinati autori o discipline.
Oggi è molto discussa l’idea di voler eliminare dai programmi scolastici la letteratura greca e latina perché appannaggio di un’élite bianca e modello negativo per i valori che questa trasmette. Così facendo, però, non ci si priva soltanto di un ricchissimo patrimonio, ma si dimentica che queste culture sono state i capisaldi e le fonti di ispirazione di molti personaggi che hanno fatto la storia battendosi per i diritti civili e la giustizia sociale.
Quando si pensa che certe opere possano influenzare il pubblico in negativo, non dobbiamo dimenticare che quest’ultimo non rappresenta una cera che si lascia plasmare dall’opera, non è passivo a ciò che sta leggendo o guardando.

Ha fatto molto discutere la possibilità che nel nuovo film de “La Sirenetta” potessero essere cambiate alcune parole della colonna sonora, peraltro per scelta dello stesso autore che nello scorso secolo l’ha composta, in omaggio alle norme del consenso esplicito nei rapporti di coppia. In questo caso si può parlare di Cancel Culture?
In questo caso la scelta è stata autonoma, non sollecitata da un movimento più o meno numeroso di attivisti, per questo la definirei più un tipo di autocensura atta a evitare polemiche. In certi casi la scelta viene presa sull’onda di cambiamenti culturali che non possono essere ignorati dagli autori. Il nostro linguaggio, infatti, sta subendo un’evoluzione e alcuni termini che prima venivano utilizzatiin maniera libera oggi vengono sempre più spesso scartati perché offensivi.
Dobbiamo, inoltre, considerare che le grandi corporation guadagnano in termini di immagine a mostrarsi attente alle nuove sensibilità. Ci sono quindi motivazioni di ordine economico oltreché morale o stilistico.
Oltre a questo esempio, sono però numerose le favole che nella storia sono state modificate rispetto a quelle diffuse nella cultura popolare. Faccio un esempio: “La Bella addormentata nel bosco” prevedeva, in passato, che durante il sonno la principessa desse alla luce diversi figli, il che sottintendeva una violenza reiterata sulla ragazza da parte del principe. I nuovi costumi che si sono diffusi nel Settecento hanno riadattato questa e molte altre storie, andando a cancellare per sempre alcuni elementi presenti nelle favole tradizionali.

Quanta importanza ha oggi studiare questo fenomeno? Può davvero far nascere un cambiamento a livello sociale?
Il tema va affrontato in ogni sua sfaccettatura, vista la sua complessità e visto il risvolto che ha in alcuni settori e attività cruciali, quali l’economia, la politica, la cultura, l’insegnamento, la ricerca, l’informazione e le relazioni sociali. 
Per poter, invece, parlare di un cambiamento reale all’interno del contesto culturale è necessario del tempo. Non è un caso se opere letterarie recentemente composte siano state accusate per i loro contenuti. 
Nel 2020 una scrittrice, dopo aver prodotto un testo sulla condizione dei migranti messicani, è stata accusata di rappresentare una condizione a lei ignota non essendo né messicana né migrante. Questa è, peraltro, un’ambizione e una controversia della Cancel Culture, che rischia di eliminare la creatività dal lavoro dell’artista.
Per questo è fondamentale studiare, diffondere e far capire all’opinione pubblica quelle che sono le reali radici del movimento, il quale opera per dar voce ai gruppi sottorappresentati, per denunciare le violenze e la discriminazione e per poter provare a emancipare il linguaggio e la cultura del passato con un occhio sul presente.