LE NANOPLASTICHE: UN PROBLEMA “INVISIBILE” DA NON SOTTOVALUTARE
Oggi produciamo circa 300 milioni di tonnellate l’anno di plastica di cui una gran parte è rappresentata da imballaggi e prodotti monouso. Cosa significhi questo per l’ambiente è ben noto. Ma il rischio che si corre al contatto con le nanoplastiche non è ancora ampiamente diffuso.
La plastica è uno degli inquinanti più diffusi al mondo, ma solo negli ultimi anni abbiamo scoperto le nanoplastiche, frammenti di piccole dimensioni, che vengono facilmente trasportati in giro per il mondo e che arrivano a inquinare anche gli angoli più remoti del nostro pianeta.
L’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, definisce nanoplastiche le particelle con dimensione compresa tra 0,001 a 0,1 µm (cioè tra 0,000001 e 0,0001 millimetri).
Queste particelle di plastica sono ovunque e come dimostra uno studio pubblicato su Environmental Research sono arrivate anche ai Poli, e da molto più tempo di quanto credessimo.
Lo studio, coordinato da Dušan Materić, dell’Institute for Marine and Atmospheric Research di Utrecht, in Olanda, ha portato lui e il suo team ad analizzare carote di ghiaccio prelevate in Antartide e in Groenlandia. Tutti i campioni si sono rivelati ricchi di nanoplastiche, metà delle quali provenienti da sacchetti e borse di plastica.
Gli inquinanti sono stati rinvenuti fino a 14 metri di profondità nel ghiaccio. Perché è allarmante questo dato?
Trovare nanoplastiche a 14 metri indica che queste sostanze sono presenti in zona almeno dal 1965. Pertanto, queste nanoplastiche non sono un inquinante nuovo, ma uno del quale abbiamo ignorato l’esistenza fino a poco tempo fa.
Data la difficoltà di condurre studi in un settore ancora in gran parte inesplorato e la carenza di metodologie efficaci, non è noto in che modo le nanoplastiche interagiscano con l’ecosistema del suolo.
Uno studio pubblicato recentemente su NanoToday dai ricercatori dell’Università della Finlandia Orientale ha tracciato un primo itinerario possibile, che segue la catena alimentare e arriva fino agli esseri umani: le piante commestibili, in primo luogo quelle coltivate sul terreno, poi da loro agli insetti e dagli insetti ai pesci.
Le nanoplastiche hanno un grado di tossicità superiore a quello delle microplastiche, e possono causare una vasta gamma di malattie, polmonari e non solo.
Quindi cosa possiamo fare per ridurre la concentrazione di queste plastiche nel pianeta e sensibilizzare le nuove generazioni a non sottovalutare questa problematica?
La soluzione sul lungo periodo rimane una sola: eliminare lo spreco di plastica e la sua dispersione nell’ambiente.
Il peso della plastica presente oggi sul pianeta ha superato quello di tutti i mammiferi terrestri messi insieme, e questa quota è destinata ad aumentare: se le cose non cambiano, la quantità di plastica presente negli oceani è destinata a triplicare.
Lo scorso 14 gennaio è entrata in vigore la direttiva europea SUP che bandisce l’utilizzo di plastica monouso, non biodegradabile e non compostabile. Si tratta sicuramente di un passo in avanti, ma ce ne vorranno di altri per affrontare concretamente il problema.
Altrimenti, la concentrazione di nanoplastiche nel suolo, nelle acque e nell’aria è destinata a moltiplicarsi. Un altro problema “invisibile” che rimandiamo a quando sarà troppo tardi.
FONTI:
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1748013222002390?via%3Dihub
https://www.focus.it/scienza/salute/microplastiche-danni-cellule-umane