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LE FAKE NEWS NON FANNO CAMBIARE IDEA

Politici, giornalisti e attivisti digitali pensano che si possano sconfiggere, ma gli studi dei Big Data puntano in un’altra direzione: le fake news non sono un’aberrazione, ma il prodotto inevitabile degli algoritmi e delle scelte degli utenti che hanno già cambiato per sempre il mondo dell’informazione. 

“Le fake news sono un problema definito male. Per alcuni è più facile semplificare la diffusione dell’informazione a una mera competizione tra informazione vera e informazione falsa ma la questione è molto più articolata, perché i gradi di verità nell’informazione sono diversi. Quello che abbiamo visto noi, e che è stato anche confermato in seguito da altri studi, è che l’informazione si diffonde non per il suo valore di verità, ma in base a quanto piace”. 

Così ci spiega Walter Quattrociocchi, Professore nel Dipartimento di informatica all’Università La Sapienza dove dirige il Center of Data Science and Complexity for Society (CDCS). Il centro sviluppa modelli matematici che rappresentano la società al fine di studiare, capire e anticipare le tendenze grazie all’impiego di grandi quantità di dati raccolti, in particolare, sui social network. 

INFORMAZIONE E INTRATTENIMENTO  

Nelle fake news è il problema ad essere mal posto. Ci si concentra sull’informazione errata dimenticando che si tratta di un effetto collaterale di un cambiamento più grande: la circolazione dell’informazione sulle piattaforme social. Dal momento in cui più della metà delle persone accede alle informazioni attraverso i social, si perde quella dinamica di filiera dell’informazione per cui dal giornalista si arriva al fruitore. Oggi, si passa per nuovi mediatori: gli algoritmi social. In questo modo l’informazione smette di viaggiare su canali che servono per informare e si sposta su autostrade che servono per intrattenere. Il cambiamento dell’informazione affronta la stessa dinamica di disintermediazione che ha rivoluzionato altri ambiti economici e sociali esposti alla rivoluzione digitale e all’economia delle piatteforme.  

Da qui cambia completamente il business model dell’informazione stessa e, quindi, cambia anche il giornalismo, abbassando i costi e, di conseguenza, abbassando la qualità dell’informazione che circola. Advertisement e monetizzazione arrivano attraverso visualizzazioni e likes. Qui si origina il problema delle fake news che è, in realtà, il problema del collasso di un sistema dell’informazione trasferitosi su piattaforme che sono pensate per l’intrattenimento.  

IL FENOMENO DELLA POLARIZZAZIONE 

Quello che abbiamo osservato in maniera molto netta dalle analisi di milioni di utenti è che, essendoci una grandissima quantità di informazioni, l’utente cerca quelle più conformi e affini al suo modo di vedere le cose e, una volta entrato in quel contesto, ci resta.  

E come ci è finito lui, ci finisce anche qualcun altro che ne è attratto per lo stesso motivo. Nasce, così, un sodalizio tra l’uno e l’altro e si struttura un gruppo di persone solidali ad un determinato modo di vedere le cose che condividono una narrativa e la rinforzano. Questo processo è chiamato echo-chamber, ovvero cassa di risonanza. Ciò significa che l’utente non è più disposto ad una molteplicità di visioni, ma ad una coerenza di interpretazioni: c’è un’eterogeneità di contenuti ma un’omogeneità di convinzioni.  

L’impatto di questa dinamica sull’opinione comune è tutto da capire, ma sembra esserci un effetto di cristallizzazione: se tu cerchi quello che ti piace, confermi quello che già pensavi. Abbiamo osservato, nel 2017, che se proponi una visione antagonista a qualcuno, la sua reazione è di rinforzo alla sua idea di partenza.  

LE FAKE NEWS, QUINDI, NON FANNO CAMBIARE IDEA 

Rispetto al ruolo che possono avere le fake news nelle decisioni individuali, invece, un paper di Nature Communications ha dimostrato come, nonostante ci sia un’esposizione, il comportamento individuale non cambia perché l’esposizione all’informazione è confermativa e non di cambiamento. 

LA RISPOSTA SBAGLIATA DEL MONDO DELL’INFORMAZIONE 

Affrontare questo scenario di completa trasformazione è difficile, per i giornalisti in particolare. Significa accettare che il loro mondo, come lo conoscevano prima, è cambiato per sempre. Loro provengono da questo retaggio culturale per cui il giornalista è colui che racconta la verità, ed ora si trovano in difficoltà perché devono competere con figure che non fanno parte del mondo giornalistico, ma stanno lì per prendere l’attenzione degli utenti. Il contesto da cui provenivano, in cui avevano la prelazione dell’informazione, non esiste più ed è complicato, per cui è più facile pensare che si debba combattere contro le fake news invece che accettare che si è semplicemente abbassata la qualità dell’informazione,anche in ambito giornalistico.  

IN CONCLUSIONE 

Il web è pieno di storie farse ma il fenomeno delle fake news – inteso come il veleno che sposta l’elettorato e cambia l’opinione – non esiste. Al massimo, è un fenomeno che radicalizza le posizioni e le rende più ardite. 

Ma il cuore delle fake news è un problema molto più articolato e che ricorda l’invenzione della stampa a caratteri mobili. Da quando fu inventata aumentò il bacino di persone con la possibilità di leggere e interpretare, indebolendo direttamente il controllo di coloro che avevano monopolizzato l’interpretazione (l’autorità, in una parola). Con le piattaforme, il fenomeno è ancora più vasto perché gli utenti non soltanto fruiscono ma producono anche informazioni: da qui la quantità di informazione è esplosa e, di fatto, ognuno trova quella che più gli piace.