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L’angoscia che ferisce: la salute mentale all’interno delle Università

La “retorica dell’eccellenza” può trasformare il percorso di studi in una corsa a ostacoli durante la quale un numero crescente di giovani fatica a raggiungere la meta. Come reagisce a questo la comunità studentesca? Lo abbiamo chiesto a chi ogni giorno cammina tra le aule universitarie.l

Gli studenti hanno occupato un posto ingombrante all’interno dell’agenda mediatica. Ciò dovrebbe rappresentare un dato positivo per il nostro Paese, ma tra le varie notizie poche volte si registrano buone nuove: sempre più spesso, al contrario, il tema centrale riguarda l’angoscia vissuta da giovanissimi che arrancano nel raggiungere i propri obiettivi.

Alte le aspettative esterne ed enorme la paura provata: una miscela che può condurre a scelte estreme, spesso senza preavviso. Crescono così le “vittime dell’Università”, coloro che hanno scelto di mettere fine a una vita schiacciata dal peso delle aspettative e della competizione.

Proprio per questo gli studenti hanno alzato la voce contro la tossicità di una retorica dell’eccellenza, la stessa che richiede ai giovani di raggiungere il massimo per sentirsi appagati, pena l’umiliazione.

Ne sono un esempio Camilla Masi, Marta Brancoli, Martina Gallinaro, Martina Nicolai Donelli e Lucrezia Ceccarelli, cinque studentesse del corso di Laurea Magistrale in Strategie della Comunicazione Pubblica e Politica presso l’Università degli Studi di Firenze che insieme hanno scelto di dar vita a in.uni, uno spazio fatto di e per i giovani, un luogo in cui “sfogarsi” e condividere le proprie esperienze.

Avete dato vita al progetto “in.uni”, ma quale è stato l’evento scatenante che ha portato alla sua nascita?
In realtà l’iniziativa ha avuto inizio da un esame: abbiamo creato un gruppo di lavoro per presentare un progetto che potesse generare awareness in modo non convenzionale e ci siamo rese conto del potenziale che potesse avere nella vita reale degli studenti. Da qui è nato il percorso, per il quale abbiamo scelto una parola palindroma: in.uni può essere osservata da un duplice punto di vista, lo stesso con cui si possono osservare i suicidi che sono stati registrati negli ultimi anni, ovvero quello dello studente e quello della comunità studentesca che lo circonda.

L’iniziativa si forma proprio tra i banchi dell’Università. Questa nasce per essere un supporto agli studenti o un’area di discussione in cui condividere le loro esperienze?
Diremmo più che il progetto vuol essere uno spazio per raccontare le storie degli studenti, il che può in parte sensibilizzare ed essere di supporto a chiunque si imbatta in esse. Non siamo invece riuscite a farlo diventare un vero e proprio ausilio per la salute mentale dei giovani, vista la mancanza di apposite figure professionali all’interno del nostro gruppo.

Il senso di fallimento gravita intorno all’istruzione universitaria. Oggi questo è un tema caldo. Tramite le testimonianze raccolte siete riuscite a capire che cosa vivono generalmente gli studenti durante il percorso che li conduce alla laurea?

Le nuove generazioni sono particolarmente esposte al confronto con i propri coetanei e al giudizio altrui, cosa che probabilmente le rende sempre più vulnerabili alle critiche e severe rispetto ai propri successi o insuccessi. La laurea nella nostra società è ancora rappresentata come un traguardo da raggiungere attraverso un percorso quanto più lineare possibile: ogni esame bocciato o rimandato, oltre che un dispiacere personale, può essere un vero e proprio fallimento della persona agli occhi degli altri; o almeno, questo è quello che molti studenti credono. Per evitare di lasciare un ragazzo da solo in balia della propria ansia, riteniamo importante incentivare la condivisione tra i coetanei, rendere partecipi le famiglie di questi temi e far sì che la società si apra all’ascolto dei giovani e delle loro preoccupazioni.

Non solo grazie ai nostri racconti, ma anche attraverso le esperienze che facciamo in prima persona come studentesse possiamo capire cosa significhi questo percorso: È proprio per questo che abbiamo scelto di implementare il progetto e fare in modo che non rimanessero semplicemente nozioni costruite ai fini di un esame.

Emma Ruzzon, Presidentessa del Consiglio degli Studenti dell’Università di Padova, ha parlato di come i media celebrino le “eccellenze straordinarie” come casi del tutto ordinari. Quanto contribuisce l’agenda mediatica nell’aumento della pressione sui giovani?
Non crediamo sia sbagliato elogiare i casi “eccezionali”. Ciò che diventa necessario sottolineare in certe narrazioni è che quella dello “studente modello” sia una realtà a sé stante che non deve essere presentata come unico prototipo di modello da seguire. La promozione di questi tipi di perfezione accademica è semplicemente irrealistica e potrebbe risultare dannosa.

Siete ogni giorno a contatto con i docenti, da cui avete raccolto consigli anche per il vostro progetto. Credete che siano consapevoli della pressione vissuta dagli studenti?

Non possiamo generalizzare nella risposta. Guardandoci intorno, anche al di là della nostra iniziativa, abbiamo realizzato che non tutti i docenti sono perfettamente consapevoli di ciò che gli studenti provino durante il percorso universitario. Può capitare, ad esempio, di essere percepiti come un numero di matricola più che come persone, il che può rendere davvero difficile l’approccio tra le loro figure e quelle dei giovani. Coloro che invece sono consci della situazione tendono a impegnarsi nel cercare di venire incontro agli studenti al massimo delle loro possibilità.
È fondamentale capire che il fine ultimo degli studi non è la valutazione ma le conoscenze e gli insegnamenti che vengono trasmessi. Per raggiungere ciò ci vuole, però, un cambio di passo che sia prima di tutto culturale.

Il vostro progetto ha un grande potenziale ancora inespresso: pensate di ampliarlo ulteriormente in futuro?

Ci piacerebbe molto ma, al momento, all’interno del nostro gruppo mancano delle figure professionali che possano dare concretezza al sostegno degli studenti. Ciò che rende difficile l’implementazione della nostra iniziativa è l’accesso ai fondi, difficili da richiedere e reperire. Inoltre, l’Università offre già uno sportello psicologico, anche se poco sponsorizzato.

La nostra iniziativa è solo una parentesi: è fondamentale sensibilizzare l’intera società sulle paure dei giovani e sull’angoscia generata dalla pressione delle aspettative; lo si deve fare in maniera costante, senza attendere che il tema emerga nuovamente nel dibattito pubblico a causa dell’ennesima tragedia. La salute mentale degli studenti e gli spazi di ascolto per gli stessi dovrebbero essere delle priorità non solo per le Università, ma per tutte istituzioni in generale.