Skip to content

La storia di Marzia – il racconto in prima persona di una ragazza normale che divenne dipendente dall’eroina ma si salvò prima del precipizio

“Non l’avevo più scritto io il mio libro, era stato scritto da altre persone. Non ero più in grado di decidere per me stessa, allora mi sono detta: non ho più niente da perdere”. Con queste parole Marzia Carpinelli, da San Patrignano, presenta la sua storia: il lungo percorso della dipendenza da droghe fino al suo percorso di rinascita attraverso un metodo semplice ed efficace che scioglie le paure e la morsa del dolore. 

Nel 2020 Time4child ha incontrato Marzia, che ha condiviso con studenti e studentesse il suo vissuto raccontando online il meccanismo e le coincidenze che, a 18 anni, l’hanno resa dipendente dalla droga. Oggi lavora a San Patrignano, comunità in cui lei è entrata a 25 anni.  La sua storia inizia qualche anno prima. 

Marzia nasce in una famiglia normale e trascorre un’infanzia felice fino ai 18 anni, momento in cui, si verifica un punto di rottura: suo padre scopre di avere il cancro. Si ritrova così a vivere una situazione che non aveva mai provato prima. I suoi genitori devono spostarsi forzatamente in un’altra regione e lei rimane sola con il fratello maggiore. Inizia a sentirsi abbandonata, si chiude in sè stessa, e non racconta a nessuno quello che sta passando.

Marzia avverte un carico di responsabilità grande, per una ragazza di 18 anni, non chiede aiuto, vuole apparire forte di fronte ai suoi amici, non vuole mostrare le sue debolezze. Si crea un personaggio e si nasconde dietro ad esso: così il suo malessere si trincera dentro di lei.

L’incapacità di verbalizzare le toglie la possibilità di sfogarsi, ricevere conforto, trovare soluzioni. Non ha punti di riferimento. In questa circostanza conosce un ragazzo che fuma cannabis, e nel momento in cui lui gliela offre lei accetta. Dietro questo gesto c’è un bisogno di lasciarsi andare, di allentare la presa della sua ansia interiore che la fa sentire male dovunque sia.

In quel momento la sua fragilità la rendeva bersaglio per essere colpita da questa “novità” della droga; per ogni problema la soluzione era la sostanza e, nel giro di pochi mesi, la cannabis non bastava più. Per lei era iniziato il declino.

Tuttavia, mentre Marzia si faceva del male, fuori lei faceva del bene. Nello stesso periodo aveva creato una ONLUS per i ragazzi del suo paese, che vivevano in un contesto familiare che non garantiva loro un andamento scolastico sano ed equilibrato, ed è in questa circostanza che ha conosciuto un altro ragazzo che l’ha portata a provare la cocaina. 

La droga non era un piacere, era un sollievo per tutti i problemi che non venivano affrontati, perché creavano un dolore che doveva essere anestetizzato. Tutte le sue paure e le sue paranoie si addormentavano nella droga: aveva apparentemente trovato un modo per evadere e non essere presente. 

Inizia a diventare dipendente dalla cocaina per essere accettata sia dal nuovo ragazzo sia dal nuovo gruppo di “amicizie” che si era creata, ma anche in questo contesto non si sente accettata. La dipendenza era diventata duplice: dalla sostanza e dall’accettazione del gruppo. “Non l’avevo più scritto io il mio libro, era stato scritto da altre persone. Non ero più in grado di decidere per me stessa, allora mi sono detta: non ho più niente da perdere”. A questo punto Marzia passa all’eroina, non le importa più di niente, e quando nemmeno l’eroina fumata basta più e dovrebbe passare all’iniezione, capisce di essere arrivata a un punto di non ritorno: il baratro era vicinissimo. Per fortuna ha avuto un brivido di rigetto davanti all’ago, ha avuto paura e, solo allora, ha chiesto aiuto ai suoi genitori.

Il punto di svolta è arrivato quando è entrata in contatto con la comunità di San Patrignano, che ha dei centri di ascolto in tutta Italia, per ragazzi con le sue stesse difficoltà. Lì è iniziato il suo percorso di cura, di rinascita. 

Per Marzia il modo migliore di risolvere i problemi è riconoscere che esistono e, guardandoli in faccia, capire che possono essere abbracciati in uno sguardo; capire che non sono infiniti, né così grandi da non poter essere risolti. Sentirsi schiacciare, evadere, fuggire fanno rimanere i problemi dove stanno, e li fanno sembrare più grandi. Soltanto il coraggio di affrontare quello che crea dolore permette di scoprire la soluzione nel percorso, scoprendo anche che le difficoltà erano meno grandi di quanto si pensasse. 

Il metodo giusto? Riuscire a porsi degli obiettivi giornalieri e portarli a termine: questa è la chiave del successo per tornare ad avere fiducia e stima in sè stessi e difendersi sia dalle paure interne che dai pericoli del mondo esterno. 

GUARDA L’INTERVISTA COMPLETA