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Divorzio: affrontare in modo sano il cambiamento familiare

Una decisione che non ricade solo sulla coppia ma anche sui figli. Il divorzio è un momento difficile che necessita di essere gestito con estrema delicatezza per il benessere dell’intera famiglia

Quando un amore finisce è sempre complicato ricominciare. Il dolore può essere tanto e necessita del tempo per essere curato.

Quando il cambiamento lo subiscono non sono solo i coniugi ma un’intera famiglia, sono tante le dinamiche a cui prestare attenzione affinché, piano piano, la serenità possa tornare nella vita di tutti.

Ne abbiamo parlato con Carlotta Fassitelli, psicologa clinica, sessuologa, esperta in dinamiche di coppia e specializzanda in psicoterapia psico-dinamica.

Educatrice in una cooperativa sociale a stretto contatto con il disagio psicosociale minorile, offre sostegno alla genitorialità e interventi psicoeducativi in bambini e adolescenti.

A livello psicologico, come possiamo definire il “divorzio”?

Il termine divorzio è entrato a far parte del nostro linguaggio comune e quotidiano, considerando che esso costituisce l’esito del 60% dei matrimoni italiani, denotando così una profondissima instabilità dei legami coniugali nel nostro Paese.

Siamo abituati a vivere esperienze di separazione in moltissimi ambiti della nostra vita e ognuna di queste porta con sé un’inevitabile dose di sofferenza e necessita di una capacità di riadattamento a nuovi assetti di vita; ma la separazione tra coniugi ha una caratteristica diversa: quella di riguardare la coppia in maniera diretta ma allo stesso tempo di estendere i propri tentacoli al nucleo familiare intero, e in particolare modo ai figli.

In ogni separazione, che abbia esiti consensuali o giudiziari, la famiglia vive una fase di profonda crisi che sarà caratterizzata da riorganizzazioni del mondo interno ed esterno in ognuno dei suoi membri. Per quanto non sia possibile scrivere un “copione” della separazione, le esperienze hanno molti punti in comune ed è possibile delinearne delle vere e proprie fasi emotive vissute dai coniugi.

Quali sono le fasi emotive che definiscono il rapporto tra coniugi?

La prima è quella dell’amore, dell’idealizzazione e della nostalgia verso l’altro. Segue la fase di collera, di frustrazione e di risentimento, di rabbia per la separazione, per il non “aver fatto abbastanza”, “aver rovinato tutto”, “non aver combattuto per mantenere unito il legame”, così come rabbia per l’abbandono e il rifiuto. Infine, segue la fase della tristezza, accompagnata dal senso di solitudine e fallimento.

La componente imprescindibile di perdita nell’evento della separazione è considerata da molti autori e studiosi al pari di un’esperienza di lutto, accostamento che ne sottolinea la portata emotiva.

Ed è proprio la risoluzione in tempi adeguati delle fasi emotive appena citate che permette ai coniugi un’elaborazione della perdita, anche se questo non avviene sempre e molte persone rimangono legate ad una di queste fasi. Chi rimane fissato sull’amore negherà la realtà e continuerà a sperare in una riconciliazione, chi si sofferma sulla collera non smetterà di cercare vendetta sull’altro e chi rimane concentrato sulla tristezza andrà incontro a depressioni, attribuendosi tutte le colpe.

Affinché l’esperienza del lutto sia elaborata, sarebbe opportuno che i coniugi siano tristi per la fine del loro matrimonio, in collera per quello che è successo ma che conservino sempre un tenero ricordo del passato.

A livello psicologico è certamente preferibile una separazione consensuale e quanto più possibile pacifica che un’unione litigiosa. Nella nostra società possiamo affermare con più serenità di un tempo che la separazione è legittima e auspicabile qualora la convivenza fosse intollerabile. La separazione è un diritto che può salvaguardare il benessere della persona ma è certo che debba essere eseguita con delle accortezze.

Cosa accade in una famiglia che si trova a dover gestire questo cambiamento?

È proprio il concetto di cambiamento a risultare centrale in questa analisi.

Nel momento in cui avviene una separazione, che sia stata repentina o protratta nel tempo, andrà a generarsi un “prima” e un “dopo”. È come se la linea del tempo subisse un taglio netto.

Innanzitutto, vi è il dolore dei partner che potrà certamente essere vissuto con un’intensità diversa tra i due ma che per entrambi sarà portatore di un sentimento relativo al fallimento di un progetto di vita, con rimpianti e rimorsi, paura per il futuro, e anche un senso di vuoto per la perdita dell’altro. Inoltre, i partner devono anche ridefinire il proprio legame in modo da rimanere due buoni genitori, perché la separazione e il divorzio pongono fine alla relazione coniugale ma non ai compiti genitoriali.

Il dolore incommensurabile dei figli nel veder frammentata la propria famiglia verrà accompagnato anche dalla difficoltà a costruire nuovi assetti: dall’entrata nella loro vita di nuove figure, a cominciare da avvocati e giudici, che spesso vengono vissuti come soggetti persecutori, allo spostamento e divisione dell’ambito domestico, fino alle nuove dinamiche economiche. Si perderanno così i punti di riferimenti fisici oltre che affettivi.

Si dovrà vivere il confronto con l’esterno, con un occhio talvolta giudicante talvolta compassionevole, rivolto a genitori e figli, di parenti e amici.

Spesso, inoltre, è necessario rivedere anche l’assetto sociale, considerando che le famiglie di origine tendono a non condividere più spazi comuni, e anche i legami affettivi con amici di famiglia verranno ora vissuti in maniera esclusiva.

Vedere i propri genitori che si separano cosa provoca nella psicologia dei figli?

Così come si attua una frammentazione della coppia vi è una speculare frammentazione nei figli, qualsiasi età essi abbiano. Questa avviene in maniera non sempre consapevole, ma l’io interno del figlio è fortemente slegato e deve ricostruirsi con fatica. È possibile superare positivamente questa fase, ma il prezzo emotivo che si paga è notevole.

In realtà, dopo essersi abituati alla nuova organizzazione familiare, la parte più difficile per i figli sarà quella di continuare a subire un clima di alta conflittualità.

L’adattamento dei figli al divorzio dipende molto da quanto stress sia stato percepito nelle fasi precedenti e chiaramente dalla loro età. È certo che ogni individuo viva le esperienze in maniera unica ma è possibile riportare alcune delle reazioni psicologiche più comuni.

I bambini e ragazzi più sensibili, predisposti per carattere a sostenere l’adulto, si faranno carico del dolore dei genitori, a volte si sentiranno responsabili per non essere riusciti ad essere un collante sufficientemente forte.

Nei casi di tradimento di un genitore a discapito dell’altro sarà percepito un tradimento esteso a tutta la famiglia. I ragazzi metteranno in dubbio la loro capacità di giudizio dell’ambiente, e metteranno in discussione tutto il tempo trascorso con i propri genitori uniti.

È possibile che crescano con l’idea per cui il matrimonio è un’esperienza infelice, estendendo quanto vissuto nella relazione genitoriale a tutti i rapporti interpersonali.

Per aiutare la metabolizzazione dell’evento, cosa può fare la famiglia e cosa può fare il singolo genitore?

Il genitore è prima di tutto una persona. Chiunque possa pensare che il comportamento migliore per tutelare i figli sia quello di non separarsi o in ogni caso procrastinare la separazione “fino a quando i figli saranno grandi” sottovaluta altrettante conseguenze psicologiche nocive ai bambini e agli adulti stessi.

È vero però che, a fronte di un’esigenza di separazione assolutamente lecita, le cose possono essere fatte in diversi modi e alcuni sono più tutelanti di altri.

Si dice che i genitori debbano essere “affidabili” e non “perfetti”, e questo racchiude un po’ il senso del comportamento migliore da poter attuare.

Ricordare di essere un punto di riferimento adulto che adulto deve rimanere. Se mamma e papà non stanno più insieme, mamma rimane mamma, papà rimane papà, così come io, figlio, li ho conosciuti sino ad oggi. E proprio perché i figli devono rimanere figli, la cosa più importante è non invertire mai i ruoli.

Mostrare il proprio dolore in quanto genitore è importante, perché qualsiasi manifestazione autentica di sentimento è un insegnamento ai bambini, che comprendono la vasta gamma di emozioni, ma nella condivisione del proprio stato interno non è giusto chiedere ai figli di farsi carico dei propri dolori, perché loro saranno portati a prenderseli per proteggere i genitori, andando a creare una ferita ancora più grande.

Soprattutto, non bisognerebbe mai portarli a scegliere da che parte stare. La scelta tra padre e madre è di per sé innaturale e quando avviene è importante che avvenga per volontà del figlio e che non sia instradata attraverso processi di quella che in termini psicologici viene chiamata triangolazione.

Come riuscirci?

Entrambi i genitori dovranno impegnarsi a non parlare in termini negativi o svalutanti l’uno dell’altro, non condividere segreti di coppia appartenenti al passato affinché il figlio possa convincersi di chi è buono e di chi è cattivo.         

Anzi, per quanto difficile, cercare di supportare l’altro genitore, renderlo neutro se possibile.

La scelta migliore e più tutelante per il benessere dei figli sarebbe quella di mantenere il proprio legame in maniera matura e costruttiva, valorizzando le parti buone del legame nonostante il fallimento; per quanto complesso, è ciò che permette ai figli di vivere una separazione senza vedere frammentato il proprio Io.

La separazione porta i genitori a guardarsi dentro e vivere il dramma di coppia, come evitare che i figli si sentano soli?

Le ricerche confermano come, soprattutto nelle primissime fasi della separazione, i genitori tendano ad avere meno cura dei propri figli, poiché troppo concentrati sul proprio dolore. In questi casi, è utile ricercare l’appoggio di figure di riferimento alternative, come nonni o amici di fiducia, educatori e anche insegnanti, che per un periodo di tempo possano compensare i bisogni dei figli.

Per l’importanza e la delicatezza di queste fasi è utile, a volte fondamentale, aiutare sé stessi e i figli pensando ad uno spazio di ascolto ed elaborazione con uno psicologo, uno psicoterapeuta o un mediatore familiare senza aspettare che si manifestino segnali di rabbia o dolore ma intervenendo in maniera preventiva.

Gli stessi genitori, infatti, se sostenuti attraverso un percorso specifico possono acquisire risorse personali in grado di sostenere loro stessi, andando a creare una struttura più solida e consapevole e di conseguenza tutelare il rapporto con i figli e il loro benessere.

Una possibilità altrettanto utile e valida è quella di ricercare sul proprio territorio gruppi di mutuo-aiuto per i genitori separati e analoghi gruppi per i figli adolescenti.

Quali possono essere i piccoli segnali a cui un adulto deve prestare attenzione quando un giovane si trova ad affrontare un cambiamento di tale portata?

In questo caso l’età è un fattore determinante per la tipologia di esternazione del vissuto interno, anche se tendenzialmente i segnali riguardano sintomi regressivi o oppositivi. In ogni caso, sono sempre richieste di attenzioni sulle quali bisogna intervenire subito e non lasciare inascoltate queste grida di aiuto.

Nei bambini più piccoli possono esserci comportamenti oppositivi rispetto all’alimentazione o sul versante sociale, come, ad esempio, comportamenti aggressivi verso i compagni di classe, sui quali si riversa la rabbia interna.

Tipici sintomi che si manifestano in età più avanzata o adolescenziale sono i problemi scolastici, delinquenza o problemi come ansia e depressione, così come una chiusura emotiva potrebbe portare ad una incapacità nello stabilire relazioni più intime o sabotare quelle che esistevano prima.

Non dimenticandoci mai della stretta connessione tra psiche e corpo, è bene tenere sotto controllo e non sottovalutare eventuali sintomi psicosomatici. Per citarne alcuni: mal di pancia ricorrenti, abbassamento del sistema immunitario e ricorrenti stati febbrili, reazioni cutanee o difficoltà respiratorie.

Un’altra possibilità è che i figli assumano comportamenti iper-responsabili, non propri della loro età. Il non lamentarsi, il negare la sofferenza, prendersi carico volontariamente dei dolori genitoriali, sono tutti campanelli d’allarme che non devono passare inosservati, per non cronicizzare i medesimi comportamenti e privare i bambini e i ragazzi del loro diritto di manifestare il dolore

Come può la scuola essere di supporto in un momento così delicato?

La scuola dovrebbe essere un luogo sempre sicuro, di crescita personale e non solo di formazione, un luogo di accoglienza dei vissuti interni dei suoi studenti e non solo di trasmissione nozionistica. Non sempre avviene questo ma il potenziale che vi è dietro è immenso.

La scuola può diventare una seconda famiglia e gli insegnanti essere figure adulte supportive in un momento in cui le figure genitoriali vacillano nel loro ruolo, per la difficoltà del momento e per i loro vissuti di dolore.

La scuola dovrebbe essere, dunque, informata tempestivamente e indire un collegio docenti per mettere al corrente gli altri insegnanti.

Lo scopo potrebbe essere quello di:

– creare un ambiente di supporto e comprensivo che vada incontro ad eventuali difficoltà dell’alunno nel rendimento scolastico;

  • Rendere gli insegnanti nuovi occhi di osservazione pronti a interpretare comportamenti anomali e segnali di ricerca di aiuto da parte dei ragazz;.
  • Fornire ai ragazzi la sensazione di non vivere i cambiamenti anche a scuola, che invece si porrebbe come punto di riferimento stabile;
  • Promuovere iniziative sociali per contrastare un eventuale isolamento del ragazzo in difficoltà.