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Dietro le sbarre: la realtà poco conosciuta delle donne italiane detenute

La realtà femminile nelle carceri italiane è poco raccontata, essendo le detenute di sesso femminile una piccolissima percentuale. Con la gentile partecipazione della Garante dei diritti delle persone private della libertà di Roma Capitale, scopriamo quali sono le difficoltà che ogni giorno una donna deve superare negli Istituti penitenziari italiani

In un sistema carcerario dominato dalle narrazioni maschili, la vita delle donne dietro le sbarre rimane spesso poco raccontata.

Abbiamo avuto il privilegio di parlare con Valentina Calderone, Garante dei diritti delle persone private della libertà di Roma Capitale, per anni direttrice della Onlus “A Buon Diritto” e parte dello staff della Commissione dei diritti umani del Senato nel corso della diciassettesima legislatura.

Con la sua profonda conoscenza delle dinamiche carcerarie, ci offre un insight dettagliato sulla condizione e le sfide che le detenute del nostro Paese devono affrontare ogni giorno.

  • Cominciamo facendo un piano chiaro della situazione: quali sono le difficoltà che devono affrontare le donne detenute ogni giorno?

Le donne detenute in Italia sono una percentuale piccolissima rispetto alla popolazione maschile presente nelle strutture, ci aggiriamo intorno al 4%, un numero esiguo che, proprio per questo motivo, deve affrontare tutte le difficoltà di un ambiente pensato prettamente per l’accoglienza maschile.

Le carceri totalmente femminili nel nostro Paese sono veramente poche, generalmente le donne si trovano in sezioni dedicate di carceri maschili, questo fa sì che l’accesso a tutte le attività organizzative e culturali sia molto più complicato. Si fa fatica ad organizzare attività specifiche perché spesso alle donne non è consentito di partecipare insieme con i detenuti di sesso maschile per questioni di sicurezza. Al momento il Ministero della Giustizia sta affrontando tale tematica, staremo a vedere se verranno previsti dei miglioramenti per le loro condizioni.

  • Le detenute minorenni sono divise dai ragazzi o la gestione è differente?

Sì, anche le ragazze minorenni sono divise dai ragazzi. A Roma, ad esempio, c’è una situazione abbastanza particolare all’interno di Casal del Marmo, dove le ragazze non hanno neanche una palazzina dedicata, ma sono relegate al piano terra dell’edificio che ospita i ragazzi minorenni, compromettendo il loro accesso alle aree esterne e procurando non poche difficoltà di gestione. In questo caso si sta provando ad incentivare attività comuni, ma è un tema abbastanza sentito, sia nelle carceri minorili che in quelle per adulti.

  • Focalizzandoci sulla salute, nelle carceri ci sono visite specialistiche per la prevenzione di malattie prettamente femminili?

Ogni Istituto ha delle regole precise. La Sanità è totalmente regionale e di conseguenza anche quella penitenziaria. L’accesso a screening è difficile, ma ci sono delle Onlus private che forniscono visite mediche, per esempio, per la prevenzione del tumore al seno o al collo dell’utero. Non è detto, infatti, che le ASL territoriali organizzino sistematicamente degli screening in modo esteso.

  • Donne madri: com’è la situazione italiana? Come vengono gestiti i figli?

La maggior parte delle donne madri non hanno figli con loro all’interno dell’Istituto. Spesso, è una delle condizioni che fa soffrire. Le donne, però, in via generale, soffrono molto di più la reclusione rispetto al genere maschile, indipendentemente che siano madri o meno, hanno molte più difficoltà nell’adattamento al sistema di detenzione e sono più provate a livello psicologico.

Le donne madri, comunque, si trovano nella sezione “nido” della struttura, è un fenomeno non ancora scomparso, ma negli ultimi anni i bambini nelle carceri sono notevolmente diminuiti, tanto che al momento se ne contano meno di una ventina in tutta Italia.

I bambini possono restare con la madre fino al compimento dei tre anni, tanto che sono stati messi in atto una serie di provvedimenti legislativi che cercano di incentivare la creazione e l’utilizzo di Istituti a custodia attenuata o case-famiglia protette, per accogliere le madri e i bambini. A Roma, ad esempio, c’è una struttura che accoglie donne con bambini fino a 10 anni se sono definitive, 6 anni se sono in attesa di giudizio.

Lo scandalo dei bambini che vivono in Istituti penitenziari è comunque ancora molto sentito, anche se sono talmente pochi, per fortuna, che sarebbe una questione facilmente affrontabile.

La proposta di Legge Siani, scritta allo scopo di intervenire in tali situazioni, non è stata approvata nella scorsa legislatura. Ripresentata nuovamente dall’On. Serracchiani, sono state richieste delle modifiche dall’attuale maggioranza di governo, cambiamenti che non avrebbero fatto altro che peggiorare la situazione

  • Per quanto riguarda le visite dei figli, le donne hanno maggiori possibilità rispetto agli uomini di vedere i bambini?

No, chi ha figli, indipendentemente che sia madre o padre, ha la possibilità di fare dei colloqui in più. Non c’è alcuna distinzione tra i genitori, essendo entrambi figure fondamentali per i bambini e i ragazzi.

  • Ultimamente si sta sentendo parlare delle “stanze dell’affettività”, che vengono sempre viste da un punto di vista della coppia. Secondo lei, si potrebbe magari intendere tali stanze come un luogo in cui una madre può passare del tempo da sola con i propri figli senza l’intromissione di terze persone che andrebbero ad inficiarne la privacy?

Assolutamente, infatti questo è un grande limite. La sentenza della Corte Costituzionale, per quanto importantissima nel resto dei contenuti, ha vietato l’uso delle stanze ai minori, rendendo difficile l’accesso al diritto all’affettività dei genitori detenuti, sia madri sia padri. La critica più grande che abbiamo mosso verso tale sentenza è proprio questa: crediamo che un luogo dove svolgere colloqui riservati possa essere utile anche per le visite con i figli. Anzi, questo permetterebbe l’instaurarsi di un rapporto più intimo e “normale” con la figura genitoriale di riferimento.