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Giro d’Italia. Ma i giovani italiani?

Che spazio trova il ciclismo nel mondo della generazione Z? È possibile per i giovani atleti sfondare all’interno del nostro Paese e far nuovamente salire il ciclismo nel podio degli sport italiani più seguiti? Lo abbiamo chiesto al giornalista sportivo Giorgio Coluccia

Dal 6 al 28 maggio si corre, come ogni anno, il Giro più famoso d’Italia. Ventidue squadre da tutto il mondo pedaleranno da nord a sud per l’intera penisola in 21 diverse tappe. Un evento che dal 1909 colora il nostro Paese di atleti in gara per la famosa maglia rosa.

Coppi, Bartali, Nibali, Pantani, Cipollini: tutti nomi impressi nella storia e che hanno reso celebre questo sport nel nostro Paese. Ma dagli anni d’oro del ciclismo qualcosa è cambiato: un declino dovuto alla mancanza di nuove vittorie ma anche, e soprattutto, all’esiguo investimento fatto sui giovanissimi.

Giorgio Coluccia, giornalista sportivo e reporter per il Giro d’Italia, racconta a Time4child alcuni aspetti più importanti sul ciclismo, con un focus particolare sui giovani e sul loro modo di viverlo, seguirlo e praticarlo.

L’ESP GroupM Consulting ha posizionato il ciclismo al settimo posto tra gli sport più seguiti: è un buon risultato o significa che è oggi uno sport di nicchia?
Gli anni d’oro per il ciclismo italiano sono sicuramente finiti: basti pensare che l’ultimo mondiale vinto dall’Italia è stato più di dieci anni fa, nel 2008. Il nostro Paese ha ceduto il palcoscenico a nazioni che attualmente rappresentano le grandi protagoniste, come Belgio, Olanda, Francia, e Spagna alle quali si aggiungono anche Slovenia, Colombia ed Ecuador. Insieme alla sua discesa dal podio, si sono concluse anche le carriere di grandi campioni, i simboli che accendevano la passione dei tifosi e questo ha sicuramente portato un calo negli ascolti. Non dobbiamo comunque immaginare il ciclismo come uno sport “finito”. In Italia si contano 4 milioni di praticanti – tra amatori e professionisti – e questo è un buon risultato. Inoltre, nel 2021 si è registrato un +13% di tesserati rispetto all’anno precedente. Non lo definirei ancora quindi uno sport di nicchia. È, anzi, uno sport che ha ereditato una componente storica importante nella penisola, dove per molto tempo ha rappresentato uno degli sport più amati.

Per quanto riguarda i giovani, troviamo lo stesso interesse?
Ci sono molti giovani che praticano questo sport e che provano ad entrare nella categoria dei professionisti, anche se non con poche difficoltà. L’Italia, infatti, fatica a far nascere campioni, al contrario di molte altre realtà europee e internazionali, e questo perché non aiuta i giovani a “sfondare”. Ne è un esempio la storia di Giulio Pellizzari, diciannovenne protagonista del “Tour of the Alps” di poche settimane fa. Il giovane con la stoffa del campione non è riuscito a temprarsi in Italia perché la Federazione non gli ha permesso di fare il grande salto passando dalla categoria juniores a quella superiore. Il ragazzo ha quindi scelto di trasferirsi in Slovenia, dove ha preso la residenza ed è diventato professionista bruciando tutte le tappe.

Una “fuga di cervelli” anche nello sport. Quanto è invece seguito il ciclismo dai giovanissimi che non lo praticano?
Generalmente nei ragazzi nasce l’interesse per uno sport grazie ad una cartina ditornasole, ovvero il campione del momento, un simbolo in grado di diventare fonte di ispirazione. Questa figura nel ciclismo manca, mentre stanno andando molto forte sport come il tennis e l’atletica. Non è un elemento da sottovalutare: grazie a questi esempi nasce la voglia nei ragazzi di iniziare a praticare lo sport, è un richiamo importante alla loro attenzione.

Spostiamoci invece sulle competizioni. È appena iniziata la manifestazione ciclistica più importante del nostro Paese: che ruolo assume oggi il Giro d’Italia nel mondo dei giovani?
Questo è sicuramente l’evento principe, anche e soprattutto per l’eredità che ci hanno lasciato i grandi nomi del ciclismo italiano. Ha una grande risonanza mediatica, con programmi ad hoc in onda ogni giorno. Se parliamo di vittorie, negli ultimi anni abbiamo avuto poche soddisfazioni. Ma il richiamo a bordo strada nelle località del Paese vede ancora molte persone e molti giovani, soprattutto nelle tappe più importanti e in quelle che permettono di riunirsi per una giornata; penso, ad esempio, alle tappe montane, dove i ragazzi si ritrovano per pranzare insieme. Quest’anno l’attenzione salirà sicuramente, considerando che il giro si concluderà a Roma. La visibilità, quindi, non manca ma sarebbe molto diverso se a primeggiare ci fossero degli atleti italiani: aumenterebbe l’attenzione e la condivisione di questi esempi sui canali più utilizzati dai giovani.

Perché anche il ciclismo si è evoluto nei linguaggi delle nuove generazioni.
Come tutti gli altri sport, anche questo è riuscito a stare al passo con i nuovi canali. Se si pensa al Giro d’Italia, è possibile vederlo in streaming dal computer o dal telefono ed è molto avanti anche nei social con post-produzioni avvincenti che attirano l’attenzione.

A proposito di giovani e Giro d’Italia: in pochi sanno che a giugno competerà la categoria Under 23. Che cosa prevede questo “giro giovani”?
È una gara più breve rispetto a quella classica, calibrata alla categoria, ma con molte tappe interessanti e salite importanti. Sicuramente, chi riesce a vincere questa competizione è destinato ad avere una grande carriera e a fare il salto nella categoria dei professionisti. Anche per questo rappresenta un’occasione fondamentale per i giovani atleti che vogliono emergere.

Nello stesso periodo ci sarà poi il Giro d’Italia femminile. La domanda sorge spontanea: il ciclismo è ancora oggi uno sport di forte matrice maschile o il panorama sta cambiando?
Seppur ancora uno sport a forte componente maschile, iniziamo a vedere numerosi cambiamenti a livello internazionale e una crescita sia in termini di audience che di spettacolarità. Per quanto riguarda l’Italia, le donne hanno invertito la tendenza rispetto agli uomini: oggi vincono moltissimo e questo ha dato una grande risonanza al movimento ciclistico italiano. A livello internazionale, invece, vediamo una crescita rispetto alle competizioni: oggi tutte le gare vedono una fase maschile e una femminile.

Perché non è sempre stato così?
Non da sempre. Il Giro d’Italia femminile, ad esempio, si è svolto per la prima volta nel 1988 – quasi ottanta anni dopo la nascita di quello maschile – ed è stato uno dei primi a essere corso da donne. Ci sono poi molte gare che sono state declinate al femminile soltanto recentemente, come il Giro delle Fiandre, la Liegi-Bastogne-Liegi o la Parigi-Roubaix che ha visto la prima edizione femminile soltanto tre anni fa.

Nel 1948 Bartali vince il Tour de France e “salva”, con il ciclismo, l’Italia da una tensione interna causata dall’attentato di Togliatti. Il ciclismo e lo sport in generale potrebbero avere oggi una tale risonanza nel Paese?
Servirebbe un personaggio che dia enfasi al settore e alla nazione. In questo caso non si tratta solo di vittorie, ma della grandezza di una figura che si caratterizzi per alcune sue azioni. Bartali non fu solo corridore, ma si contraddistinse anche per le sue missioni umanitarie: entrò in una delegazione per l’assistenza degli ebrei immigrati e si racconta che nella canna della sua bicicletta nascondesse documenti che permettevano a questi ultimi di espatriare. Ma come lui altri grandi nomi in tutto il mondo, uomini e donne celebri per le proprie gesta che li hanno resi memorabili e indimenticabili ancora oggi per tanti giovani. Oggi una personalità con tale risonanza manca, non solo nel ciclismo ma nello sport in generale.

Ma la figura del campione è l’unico modo per riavvicinare i giovani a praticare questo sport? Quali altri metodi ci sono?
È una domanda complessa. Purtroppo, il ciclismo ha uno svantaggio: quello che possa essere pericoloso se corso su strada. È una paura condivisa anche all’interno delle famiglie, che hanno alcune remore a far praticare questa attività ai propri figli. È quindi molto difficile poter lavorare a livello culturale su questo. Esiste però una componente sportiva che può essere cambiata, facendo in modo che guardi più da vicino la fascia giovanile: il ciclismo non ha attualmente una squadra cosiddetta di “Serie A” e questo può far perdere di competitività perché non si è all’altezza delle altre squadre a livello mondiale. Di questo ne paghiamo anche sulle fasce giovanili. La difficoltà di cui parlavamo prima, quella di fare il grande passo dagli under 23 ai professionisti, porta i ragazzi a scegliere le “squadre di serie A” all’estero, perché gli permettono di crescere velocemente e senza imbattersi in cavilli previsti dalle diverse federazioni. Dobbiamo quindi cambiare quest’ottica nella penisola e puntare maggiormente sui giovani campioni: solo in questo modo si potrà far riemergere la grandezza del ciclismo del passato.