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Settembre e il ritorno a scuola: per gli studenti sempre più un momento negativo

Non si tratta di pigrizia post vacanze, ma di veri e propri disturbi di ansia, paura, insicurezze. I giovani italiani vivono il rientro a scuola con eccessiva pressione, rischiando di spezzarsi

Le scuole stanno piano piano riaprendo in tutta Italia. Un momento entusiasmante, in cui iniziare una nuova classe, rivedere gli amici dopo la pausa estiva, mettere a frutto i buoni propositi accademici. Per gli studenti settembre è un “piccolo capodanno” di buone intenzioni, in cui ripartire con energia dopo le vacanze. O almeno, così dovrebbe essere. Nel mondo colorato di nuova cancelleria e di riabbracci infatti, si insinuano anche emozioni negative. Per gli studenti italiani, la proporzione sta crescendo, diventando ogni anno sempre più allarmante. L’ansia da rientro colpisce non solo gli studenti più grandi, come i liceali e universitari, ma anche i più giovani. Perché questa visione così negativa e spaventata? Ne abbiamo parlato con la psicologa e psicoterapeuta Dott.ssa Flaminia Cappellano.

Secondo una recente indagine del portale Skuola.net, svolta su un campione di 1000 studenti, ben 4 su 5 manifestano emozioni negative come ansia, desiderio di fuga, sconforto e rabbia. Perché il rientro viene vissuto così negativamente?

Esistono diversi motivi per i quali i ragazzi vivono in modo negativo il rientro a scuola. Il pensiero di tornare, dopo lunghi mesi di vacanza, di svago e di maggiore libertà, a una routine che in alcuni casi è caratterizzata da aspetti problematici può infatti renderli preoccupati già da alcuni giorni prima del rientro. I ricordi legati all’anno scolastico precedente o le fantasie sull’inizio di un nuovo ciclo scolastico possono portarli a provare paura. Un ambiente difficile, problemi nell’apprendimento, episodi di bullismo, cambiare classe o insegnanti sono alcuni degli aspetti che influenzano il benessere psicologico degli studenti. La scuola ovviamente rappresenta una parte fondamentale della vita dei nostri bambini e ragazzi ed anche per questo può diventare il luogo dove e per il quale essi possono manifestare il loro disagio. L’ansia di andare a scuola, la paura di un giudizio negativo, di essere isolati dai compagni di classe, la rabbia e la frustrazione per eventuali “ingiustizie” subite in precedenza, tutto ciò nasce dal naturale desiderio di essere accettati dall’altro trasformandosi così in alcuni casi in paura del rifiuto. 

Ha fatto scalpore il caso del liceo milanese Berchet, dove 56 alunni hanno cambiato istituto causa “disagio e malessere”, ma il problema è purtroppo ampiamente diffuso nel Paese, dove sia il tasso di rinuncia allo studio che lo sviluppo di disturbi comportamentali per l’ansia del rendimento sono alti. Quale è il tassello che sembra essere saltato?

Gli studenti del Liceo Berchet hanno dato voce al loro malessere definendo i metodi educativi della propria scuola come oppressivi ed alienanti. Spesso si sentono lamentele sulla mole di studio e dei compiti a casa infrasettimanali dei giovani studenti che vivono alcuni periodi ristretti costellati da interrogazioni e compiti in classe, anche più di uno al giorno, per poi riprendere dopo qualche mese con la stessa intensità. Sarebbe forse necessaria una distribuzione del programma più equilibrata, anche grazie a un maggior coordinamento ed una più intensa comunicazione interna tra i docenti. I giovani, infatti, si trovano il più delle volte a rinunciare completamente, per un periodo, al proprio tempo libero, allo sport, a vedere i propri amici, per vivere questi momenti di alta pressione ad intermittenza. Non tutti riescono a reggere tale peso. Il più delle volte così iniziano le manifestazioni di stati ansiosi che li portano a non voler andare a scuola; e assenza dopo assenza aumenta paradossalmente l’ansia sia per il pensiero di doverle giustificare, sia perché la mole di studio andrà ad aumentare e quindi si aggiunge la paura di non farcela. Inoltre, il messaggio che si rafforza internamente è quello che non si è abbastanza bravi da stare al passo con gli altri, un vero problema per la propria autostima. Un’organizzazione più equilibrata, senza tante corse, sarebbe sicuramente accolta in maniera più positiva dai nostri giovani studenti.

Un cattivo rapporto con i docenti e con il sistema scolastico, ma anche una pressione da parte delle famiglie. Forse vi è una comunicazione sbagliata anche a casa?  

Quando i rapporti diventano difficili sia con i propri genitori sia con la scuola, il problema per i giovani si complica, aumentando la possibilità di trovarci di fronte a manifestazioni di comportamenti a rischio. Quando un figlio manifesta un disagio nei confronti della scuola, spesso la prima reazione di molti genitori è quella di arrabbiarsi non comprendendo realmente le motivazioni, o sminuendole, per poi passare a provare paura per il futuro del proprio figlio. Il fatto che la comunicazione tra i genitori ed i figli adolescenti non sia qualcosa di molto semplice da gestire è noto a tutti ma sicuramente ci sono degli accorgimenti che possono essere di aiuto. Se il proprio figlio non vuole confidarsi non bisogna demordere. È comunque importante provare ad offrirgli un tempo condiviso, un tempo di ascolto, di accoglienza che possa farlo sentire al sicuro e che gli possa trasmettere l’idea che se lui lo decidesse l’adulto sarebbe in grado di sopportare il peso che porta, condividendolo insieme. È importante, inoltre, insegnare ai propri figli a tollerare gli insuccessi anche raccontandogli delle nostre esperienze personali legate alla nostra formazione. Cercare di trasformare i pensieri negativi in soluzioni, le crisi in opportunità può ulteriormente contribuire a renderli più sicuri di sé. 

Quali sono i segnali più comuni che indicano che un ragazzo sta subendo una pressione eccessiva riguardo al rendimento scolastico? 

In alcuni casi la pressione dei genitori e dei docenti rispetto al rendimento scolastico viene percepita dai ragazzi come un peso troppo pesante da gestire. Tra i comportamenti più comuni che i ragazzi mettono in atto in queste situazioni possiamo elencare il desiderio di non andare a scuola, quindi la collezione di un numero elevato di assenze, rese note o meno ai genitori, entrare in ritardo a scuola, manifestare delle forme di somatizzazione (mal di testa, mal di pancia, etc.), l’insorgenza di disturbi del sonno e di disturbi del comportamento alimentare. Questi sono sicuramente i segnali più ricorrenti sui quali è necessario intervenire prima che il quadro si complichi.

È possibile che a distanza di tre anni gli studenti, soprattutto i più giovani, risentano ancora degli effetti della pandemia e della DaD? 

La pandemia ha provocato nei più giovani l’insorgenza di diversi problemi e disturbi psicologici, come ad esempio disturbi del sonno, disturbi dell’umore, ansia, isolamento e difficoltà a concentrarsi. Sono diverse le ricerche che evidenziano infatti un peggioramento della salute mentale degli adolescenti. La DaD, se da un lato ha permesso ai ragazzi di continuare ad avere un senso di appartenenza e di gruppo classe, dall’altro ha portato a tali conseguenze legate al passare troppo tempo davanti allo schermo del pc. La società ha subito dei grossi cambiamenti a seguito della pandemia, compresa la gestione della quotidianità. Ci è voluto tanto tempo per adattarsi a tutte le restrizioni necessarie imposte dallo Stato e non è scontato che tutti abbiano la stessa capacità di resilienza per tornare alla “normalità’” in tempi brevi. A pagarne di più le conseguenze potrebbero essere soprattutto i giovani che si sono trovati a vivere le loro “prime volte” in quel periodo così particolare: il primo giorno di liceo, la prima interrogazione, gli esami, la conoscenza della nuova classe, dei nuovi insegnanti. Tutto vissuto in un modo diverso, sicuramente necessario ma comunque asettico rispetto a come avrebbero potuto viverlo.

Può anche il mondo del lavoro avere un ruolo nel fatto che i giovani vivono con tanta ansia il percorso formativo?

I giovani di oggi sentono spesso dire che è difficile trovare un lavoro, un lavoro pagato adeguatamente, che dovranno svolgere lunghi periodi di stage e tirocini anche non retribuiti e che il più delle volte è necessario cambiare Paese per poter fare una carriera migliore. Queste informazioni, che a diversi livelli arrivano ai ragazzi, unitamente al pensiero che per diventare autonomi e potersi permettere di pagare un affitto e mantenersi ci potrebbe volere tanto tempo, può provocare uno stato di ansia nel giovane studente. Egli si potrebbe trovare in questo stati proprio perché l’obiettivo finale è poco chiaro, definito e concreto, contribuendo così a sviluppare un blocco che in qualche modo porta con sé il vantaggio secondario di restare nel ruolo di studente, ma ovviamente con delle conseguenze nocive per la propria autostima. Il mondo del lavoro e il mondo della scuola e delle Università dovrebbero quindi trovare nuovi modi per collaborare e comunicare tra loro maggiormente al fine di offrire, attraverso esperienze pratiche, una maggiore sicurezza ai giovani rispetto al loro futuro lavorativo aumentando così la loro motivazione allo studio. 

Come può un genitore, concretamente, supportare il figlio a impegnarsi senza rischiare di farlo sentire inadatto o di fargli percepire il peso delle aspettative familiari?

Uno degli atteggiamenti più propositivi per i genitori è sicuramente quello di mettersi in una posizione di ascolto verso i propri figli. Cercare di capire le loro emozioni, le loro paure, trasmettendogli il messaggio che non c’è nulla di cui vergognarsi. Partendo dagli eventuali pensieri negativi, ogni genitore può provare a trasformali in pensieri positivi, evidenziando ad esempio quelli che invece potrebbero essere gli aspetti positivi del nuovo anno scolastico, come fare nuove amicizie, nuove gite scolastiche, vivere momenti divertenti etc. Aspetto importante per non fargli sentire il peso delle aspettative familiari è quello di sforzarsi ad attribuire un valore non troppo eccessivo al singolo voto che il figlio porterà a casa. Quante volte ci capita, come genitori, di dire ai nostri figli quanto sia importante la scuola, lo studio, il loro rendimento? Genitori con tante aspettative e docenti esigenti con la fretta di finire il programma e le interrogazioni sono un binomio che in alcuni casi diventa un peso eccessivo per i ragazzi. I voti diventano un vero e proprio giudizio non solo relativamente alla prestazione bensì un giudizio su sè stessi, andando così a minare la propria autostima. I genitori possono quindi prevenire questa situazione anche attraverso alcuni piccoli accorgimenti in più, come ad esempio interessandosi in modo autentico allo studio ed alla vita scolastica del proprio figlio, condividendo la propria storia scolastica sia con degli esempi positivi che negativi, ascoltando i propri figli nelle scelte da intraprendere, come quella della scuola da frequentare, evitando le imposizioni ed aiutandoli a trovare nuovi metodi e strumenti di studio più al passo con la società odierna e vicini al loro mondo di adolescenti. 

Quali strumenti concreti può mettere in atto invece la scuola per supportare i ragazzi e le famiglie laddove riconosciuti i segnali?

La scuola, in particolare nella figura dei propri docenti, dovrebbe avere il compito di impegnarsi nell’instaurare una buona relazione con le famiglie dei propri studenti. È necessario non soffermarsi esclusivamente sul mero rendimento scolastico, evitando così inutili e dannose pressioni ma cercare di organizzare dei momenti di condivisione e comunicazione con le famiglie oltre che momenti di socializzazione che possano coinvolgere anche gli studenti. La presenza di uno sportello psicologico all’interno della scuola, che possa accogliere non solo i ragazzi, bensì anche docenti e genitori, può sicuramente essere un valore aggiunto al fine di prevenire il disagio e intervenire in modo efficace ed immediato.