Scuole in carcere: l’istruzione come chiave per il riscatto sociale
“Se non si riuscirà a fare in modo che chi esce dal carcere sia migliore di quando vi è entrato, sarà un fallimento per tutti” spiega Anna Grazia Stammati, Presidente del CESP- Rete delle scuole ristrette. Dal 2012, questa Rete si impegna attivamente nella promozione dell’istruzione e della cultura all’interno delle carceri italiane, con l’obiettivo di creare un ambiente che rispetti pienamente i diritti delle persone private della libertà. I dati del Ministero della Giustizia sottolineano che quasi l’80% dei detenuti ha un livello di istruzione limitato, un fatto che solleva questioni cruciali sull’impatto dell’istruzione nella rieducazione individuale.
L’istruzione, essendo uno degli strumenti chiave per promuovere la riabilitazione sociale, riveste un ruolo cruciale nel rafforzare la dignità individuale, anche all’interno delle carceri.
In Italia, il carcere non dovrebbe essere soltanto un luogo di espiazione della pena, ma anche un luogo di “risocializzazione”. Questo principio è sancito dalla Costituzione italiana, che all’articolo 27 comma terzo, stabilisce che le pene devono rispettare la dignità delle persone e mirare alla rieducazione del condannato.
Abbiamo parlato con Anna Grazia Stammati, Presidente del CESP – Rete delle scuole ristrette, che svolge un importante ruolo nell’ambito dei percorsi di istruzione in carcere. In questa intervista ci ha illustrato come la Rete opera quotidianamente nel contribuire ad un miglioramento dell’offerta formativa all’interno dei penitenziari italiani, sottolineando l’importanza di non limitarsi a promuovere l’istruzione in carcere, ma di coinvolgere l’intera comunità nel processo di conoscenza delle problematiche relative alla detenzione, trasformando così un problema individuale in una questione di responsabilità collettiva.
Può parlarci brevemente della missione e del lavoro svolto dal CESP – Rete delle scuole ristrette nel contesto penitenziario italiano negli ultimi anni?
Il CESP (Centro Studi Scuola Pubblica) è un’associazione culturale nata nel 1999. Nel 2012, ho fondato la Rete delle scuole ristrette, che riunisce i docenti delle scuole in carcere di tutto il Paese. Da allora, ci siamo posti come obiettivo centrale quello di fare dell’istruzione e della cultura gli elementi centrali dell’esecuzione penale. Attorno a questa missione, abbiamo cercato di coagulare gli interventi con il Ministero dell’Istruzione, il Ministero della Giustizia e il Ministero della Cultura.
Quanto sono importanti i percorsi di istruzione nel processo di reinserimento sociale dei detenuti?
I percorsi d’istruzione offrono un impegno continuo con i detenuti: gli insegnanti lavorano negli istituti penitenziari per nove mesi consecutivi, instaurando una relazione quotidiana con gli studenti. Questo rappresenta già un valore significativo.
Inoltre, la scuola insegna che solo attraverso uno studio costante, impegno e dedizione si possono ottenere risultati significativi. Un percorso educativo e culturale può indurre a una riflessione personale e generare cambiamenti concreti. I dati lo dimostrano: il 70% dei detenuti che non ha frequentato un percorso di istruzione torna a commettere reati, la percentuale si riduce al 30% per chi ha seguito un percorso educativo o lavorativo. Questi numeri sottolineano l’importanza cruciale dell’istruzione e della cultura nel processo di riabilitazione.
Quali sono i principali benefici che l’istruzione in carcere porta ai detenuti e alla società nel suo complesso?
Da un lato, emerge chiaramente l’importanza essenziale dell’istruzione all’interno dei penitenziari. Secondo i dati rilasciati dal Ministero della Giustizia riguardante il livello di istruzione dei detenuti, circa il 21% è analfabeta o possiede solo la licenza elementare, mentre il 58% ha completato solo la scuola media. Quindi, quasi l’80% presenta un livello di istruzione limitato. Solo il 16% possiede un diploma di scuola superiore e il 2% ha conseguito una laurea.
D’altra parte, poiché l’istruzione in carcere è parte integrante del trattamento penitenziario, la partecipazione ai corsi scolastici dovrebbe essere riconosciuta come un fattore determinante per l’ottenimento di benefici. Gli educatori (funzionari giuridico-pedagogici) elaborano e inviano le sintesi dei detenuti alla magistratura di sorveglianza, che può concedere misure alternative o benefici basandosi su queste informazioni. Tuttavia, questa pratica non viene sempre attuata, creando disincentivi.
Quali sono i livelli di istruzione che offrite ai detenuti?
La Rete delle scuole ristrette comprende i docenti di due livelli di istruzione, distribuiti sull’intero territorio nazionale.
Il primo livello include i CPIA (Centri Provinciali Istruzione Adulti), presenti sia all’esterno che all’interno delle carceri. Essi offrono percorsi di alfabetizzazione e un primo ciclo didattico che culmina con il conseguimento della licenza media. Inoltre, quando in carcere non è disponibile un secondo livello di istruzione superiore, viene offerta la possibilità di un secondo ciclo didattico per il completamento dell’obbligo scolastico. In questo caso, i docenti del primo livello guidano i detenuti nel raggiungimento del biennio di istruzione superiore.
Il secondo livello di istruzione corrisponde alla scuola secondaria di secondo grado, ed è articolato, in genere, in un ciclo di tre anni.
Quali sono i tassi di iscrizione e in quanti concludono il percorso di studio?
Secondo i dati del Ministero della Giustizia, aggiornati a giugno 2023, il primo livello conta circa 11.000 iscritti, mentre il secondo registra circa 8.300 iscrizioni. In totale, si calcolanocirca 19.000 detenuti iscritti, sia stranieri che italiani.
Per quanto riguarda i tassi di promozione, il 37,6% degli studenti del primo livello è riuscito a superare con successo l’anno, mentre al secondo livello la percentuale sale al 61%. Complessivamente, il tasso di promozione si attesta intorno al 47%. Questo dato può essere attribuito agli abbandoni frequenti, che spesso sono causati da crisi personali, stati depressivi o trasferimenti improvvisi.
Come affrontate la sfida del sovraffollamento carcerario e come influisce sulle attività educative?
Le nostre richieste come CESP sono quelle di far uscire tutti quei detenuti che sono idonei alle misure alternative, quelle forme di detenzione domiciliare e di affidamento in prova ai servizi sociali che consentono una modalità di esecuzione della pena fuori da un penitenziario, mantenendo, però, una certa restrizione della libertà. Circa 9.000 detenuti potrebbero beneficiare di queste misure, come la semilibertà, le diverse forme di detenzione domiciliare e di affidamento in prova al servizio sociale, avendo pene inferiori ai tre anni. Tuttavia, molti restano in carcere a causa della mancanza di famiglie o centri disponibili per accoglierli. Stiamo lavorando, su questo, con gli assistenti sociali e con l’Ufficio di Esecuzione Penale esterna (UEPE) per garantire percorsi adeguati e opportunità di lavoro a coloro che si avvicinano al fine pena.
Potresti condividere una tua esperienza personale o una testimonianza che mostri l’impatto trasformativo dell’istruzione e del lavoro del CESP?
Nel nostro docufilm “Lo Cunto dei Ristretti”, abbiamo documentato testimonianze significative di studenti, detenuti ed ex detenuti, che hanno condiviso le loro esperienze di trasformazione. Il film mette in luce tre fasi cruciali: la vita in carcere, l’importanza dell’istruzione durante la detenzione e la vita dopo la detenzione. Mattia, ora membro attivo dei nostri progetti, in quel film, ha condiviso un pensiero che fa molto riflettere: “Se avessi avuto l’opportunità di accedere alla cultura e all’istruzione prima di entrare in carcere a 25 anni, la mia vita avrebbe preso una direzione completamente diversa”.
Quali sono stati i maggiori ostacoli nella diffusione dei percorsi scolastici in carcere?
La diffidenza dell’amministrazione penitenziaria e una mentalità che concepisce la detenzione principalmente come strumento di controllo, piuttosto che come opportunità per la crescita e il recupero del detenuto.
Inoltre, persiste l’errata convinzione che chi ha commesso un reato debba essere confinato in una cella, impedendo così una prospettiva di reinserimento e di rieducazione efficace.
È fondamentale fornire una formazione adeguata agli agenti penitenziari e a tutti coloro che operano in ambito carcerario, oltre a rivedere e modificare l’impostazione generale attuale delsistema penitenziario.
Quali sono i prossimi passi e gli obiettivi futuri del CESP-Rete delle scuole ristrette?
Proseguiamo nel nostro impegno di formazione degli insegnanti. Dopo il primo seminario di aggiornamento svolto a dicembre scorso presso la Casa di reclusione di Alessandria, abbiamo in programma un altro appuntamento, il 31 maggio, presso la Casa di reclusione di Aversa e un ultimo seminario a luglionell’ambito del Festivaldei Due Mondi di Spoleto.
Stiamo portando avanti il progetto “Biblioteche innovative in carcere”, avviato sperimentalmente a Rebibbia e ora esteso ad altre strutture come Grosseto e Saluzzo. Recentemente, abbiamo ottenuto l’approvazione anche per il carcere di Livorno e Gorgona mentre il 31 marzo presenteremo il progetto ad Aversa, coinvolgendo i quattro istituti penitenziari della zona. Le biblioteche rappresentano spazi trasformativi, facilitano la riconnessione con la cultura e offrono opportunità di lavoro sia all’interno che all’esterno delle muradi un penitenziario.