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Pallanuoto femminile: una storia fatta di rivincite

La pallanuoto femminile è uno sport dalla storia travagliata e, tristemente, breve. Nonostante sia da “poco” entrata nelle classifiche competitive, è però riuscita a ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto nel novero delle competizioni internazionali

Dal 14 luglio si stanno svolgendo a Fukuoka, Giappone, i Mondiali di Nuoto. Forse, anzi probabilmente, è una notizia che coglierà impreparati in molti: eppure, è un evento importante per la nostra squadra femminile azzurra, che in questi giorni prende parte alla competizione.

Nonostante il nuoto sia uno sport molto seguito nel nostro Paese, soprattutto durante le Olimpiadi, ben poco si parla dei Mondiali di Pallanuoto Femminile e la cosa non ci stupisce per niente – purtroppo.

Non sono poche, infatti, le circostanze sportive in cui non è stato celebrato il talento delle atlete.

Una situazione simile si era presentata nel 2022: gli azzurri, reduci da una vittoria europea, non avevano passato le qualificazioni per i mondiali, mentre la loro controparte femminile era riuscita a qualificarsi per gli Europei. Un evento passato completamente in sordina, a cui non è stata dedicata la stessa attenzione che avrebbero sicuramente ricevuto i colleghi della squadra maschile.

Perché gli eventi sportivi femminili attirano così poco l’attenzione del pubblico?

Prendiamo in esame la storia travagliata della pallanuoto femminile.

La pallanuoto nasce alla fine del diciannovesimo secolo e già alle Olimpiadi del 1900 di Parigi è annoverata tra gli sport in gara. In quegli anni alle donne non solo non era permesso gareggiare, ma non veniva concesso loro nemmeno di poter assistere alle gare, considerate troppo violente per il gentil sesso.

Nonostante, infatti, nei primi del ‘900 alcune donne già praticassero la pallanuoto negli Stati Uniti, dagli anni ‘20 si diffuse la convinzione che tale disciplina fosse inadatta alle donne, a cui venne concesso nuovamente di giocare solo a partire dal ’45, circa 25 anni dopo.

In Italia la pallanuoto femminile arriva solo nel ’72 dove, inizialmente, le uniche squadre davvero competitive a livello nazionale sono quelle liguri.

Tra alti e bassi, la pallanuoto femminile, però, diventa uno sport riconosciuto a livello internazionale: nel 1985 le donne partecipano per la prima volta agli Europei di Pallanuoto, per poi l’anno successivo essere ammesse ai Mondiali e, finalmente, nel 2000 alle Olimpiadi.

Ben 28, dunque, le edizioni delle Olimpiadi cui hanno partecipato le squadre maschili contro le 6 partecipazioni della controparte femminile; un distacco che spiega l’apparentemente meno ricco medagliere del nostro team femminile, detto “Setterosa”, che annovera, tra le vittorie, numerosi ori mondiali ed europei nonché un oro olimpico eancor più numerosi argenti e bronzi, tra cui il più recente agli Europei di nuoto del 2022.

Ovviamente, la pallanuoto non è l’unico sport in cui le donne si trovano a fronteggiare uno svantaggio storico e percettivo: tutti gli sport a maggiore partecipazione maschile registrano numeri nettamente diversi per quanto riguarda l’interesse del pubblico, la sponsorizzazione da parte dei media e le retribuzioni.

Basti pensare che solo nel 2012 alle sportive è stato finalmente concesso di gareggiare in tutte le specialità olimpiche e che solo 3 anni fa, a Tokyo, i livelli di partecipazione tra donne e uomini hanno finalmente raggiunto il 50% per ambo i sessi.

Resta però un grave gap retributivo: nel 2019 per le vincitrici della Champions League il montepremi era di 150.000 euro mentre, per gli uomini, di 19 milioni di euro.

La maggior parte degli organizzatori e fondatori di eventi sportivi nazionali e internazionali attribuiscono lo stacco tra le cifre retributive alla differenza di attenzione e attrattività, dunque di soldi da loro guadagnati, ricevuta dagli eventi femminili in contrapposizione agli eventi maschili.

A dispetto, però, di quella che sembra una situazione quasi completamente negativa, uno studio della BBC del 2022 rivela che nella maggior parte degli sport la paga è uguale tra uomini e donne.

La mancanza di attenzione, causata nella maggior parte dei casi dalla pochissima rappresentazione nei media di questi talenti femminili, non solo ha un effetto sul pay gap ma anche, e forse soprattutto, sul numero di ragazze che scoprono un interesse per questi sport.

La presenza di figure da emulare è, infatti, fondamentale per spingere bambine e adolescenti ad appassionarsi allo sport, basti pensare a quanti bambini vogliono diventare calciatori perché ammirano Totti, Messi o Buffon.

Inoltre, la pratica di sport a maggioranza maschile è, ancora oggi, spesso associata anche a stereotipi di genere, cosa che aumenta il timore di tantissime bambine e ragazze di cominciare a praticare determinate discipline, soprattutto considerando che questi bias sono spesso perpetrati dai loro stessi compagni di squadra.

A ciò si aggiungono poi i favoritismi delle organizzazioni e dei club sportivi nei confronti delle loro controparti maschili.

Tanto ancora deve cambiare affinché le nostre sportive possano ricevere le attenzioni che meritano e le bambine di questa generazione comincino a sognare di seguire le loro orme. 

Noi siamo fiduciosi, così come lo sono l’allenatore delle azzurre Silipo e tutti coloro che hanno investito il loro tempo e la loro passione in questo sport.

Ora però non ci resta che sintonizzarci per tifare per le nostre Setterosa!