Le silenziose voci del Mediterraneo
“Il desiderio di vivere e di sopravvivere emerge sempre, anche nelle situazioni più estreme” ci racconta Laura Marmorale che, in questa intervista, ci offre uno sguardo profondo e toccante sulle sfide che i minori stranieri non accompagnati vivono sia durante che dopo il loro viaggio verso la speranza.
Qual è la realtà che devono affrontare i minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia? Abbiamo avuto il piacere di parlarne con Laura Marmorale, attuale Presidente di Mediterranea Saving Humans ed ex assessora ai diritti di cittadinanza del Comune di Napoli. Grazie alle competenze acquisite dalle sue diverse esperienze, ci ha offerto un’analisi approfondita sulla realtà dei bambini e ragazzi che rischiano tutto alla ricerca di un futuro migliore e sul ruolo fondamentale che svolgono le organizzazioni come Mediterranea Saving Humans.
Che cos’è Mediterranea Saving Humans e di cosa si occupa?
Mediterranea è un’organizzazione della società civile nata nel 2018 da un profondo sentimento di indignazione nei confronti delle politiche e della gestione delle questioni migratorie italiane ed europee. Dall’unione di persone e realtà associative, la piattaforma della società civile si è organizzata e in breve tempo ha messo in mare la prima e tuttora unica nave del soccorso civile battente bandiera italiana: la Mare Jonio.
Nel corso degli anni Mediterranea è cresciuta sempre di più e si è dotata di una struttura divenendo un’Associazione di Promozione Sociale (APS). Oggi è costituita da equipaggi di mare ed equipaggi di terra con oltre 3500 soci attivi in circa 40 territori in Italia, Europa e Stati Uniti.
Qual è stata la tua esperienza personale e professionale nel lavorare con i minori non accompagnati?
Osservare i flussi migratori lungo le frontiere, specialmente da un punto di vista privilegiato, mette in luce la loro gestione totalmente inumana, priva di qualsiasi forma di tutela, a partire dai minori e dai minori non accompagnati. Questi percorsi migratori non sono fatti per i bambini.
Aldilà di ogni forma di Convenzione internazionale che l’Italia e i Paesi europei hanno sottoscritto per la tutela del minore, lungo le frontiere assistiamo ad una totale sospensione dei diritti delle persone, indipendentemente dalla loro fascia di età.Questo è associato ad una condizione che è parte del nostro patrimonio legislativo mutuato, in qualche modo, anche dalla Comunità Europea, secondo la quale in questo momento storico non è quasi possibile effettuale percorsi migratori in maniera legittima e legale, quindi con un visto preso in partenza verso il Paese di destinazione. Considerando che non sono i documenti a condizionare le necessità delle migrazioni, le persone partono ugualmente. Questa decisione è spesso associata al desiderio di proteggere i propri cari, soprattutto i figli. È questo il motivo per il quale vediamo partire molti minori soli, poiché la famiglia considera fondamentale garantire la loro sicurezza prima ancora della propria.
Quali sono le tappe della presa in carico del minore non accompagnato?
Quando una persona di un Paese terzo attraversa una frontiera ed entra in Europa, inizia una primissima forma di presa in carico e di tutela del minore, che fino al momento prima non c’era. La presa in carico e la tutela dipendono sempre dal Paese in cui ci si trova.
Quando la nostra nave, Mare Jonio, effettua un salvataggio, la priorità è quella di valutare lo stato di salute dei soccorsi e comunicare alle autorità italiane le loro fragilità, in particolare quelle dei minori. Questo per predisporre l’accoglienza al momento dello sbarco con le figure professionali necessarie a prendere in carico il nucleo familiare con minore o il minore non accompagnato. Questi ultimi, una volta arrivati a terra, seguono un percorso leggermente diverso rispetto agli adulti.
Quando la minore età è dubbia, dopo essere portati nei CPA (centri di prima accoglienza), i minori vengono sottoposti a tutta una serie di esami di misurazione del volume delle ossa per stabilire se sono minorenni o maggiorenni. Questi esami sono stati a lungo contestati perché, oltre ad essere fisicamente invasivi, hanno un margine di sicurezza assolutamente relativo.
Una volta che il minore viene ufficialmente riconosciuto come tale, viene accolto nelle comunità. Da questo punto, ci sono due percorsi da seguire, la cui giurisdizione è di competenza dell’amministrazione locale del luogo di sbarco o destinazione del Centro di Primo Accoglienza (CPA). A seconda dell’organizzazione dei comuni, i minori hanno due opzioni di accoglienza disponibili:
Nella prima, quella ordinaria, vengono inseriti nelle strutture di comunità per minori soli presenti sul territorio.
Nella seconda, i minori vengono accolti, qualora presenti nei vari comuni, nei cosiddetti SAI per minori (Sistema di accoglienza e integrazione; ex SPRAR ed ex-SIPROIMI), che sono strutture di accoglienza di secondo livello finalizzate all’autonomia e all’inserimento sociale dei cittadini migranti e dei richiedenti asilo. All’interno di queste strutture sono presenti professionisti specializzati, tra cui educatori, psicologi infantili e consulenti dedicati all’inserimento scolastico e al conseguimento di titoli di studio. È sempre preferibile che un minore venga collocato in un SAI.
Nelle vostre missioni di soccorso in mare, solitamente, quanti minori si trovano a bordo?
Nella nostra penultima missione, la numero 15, su circa 60 persone salvate, 12 erano minori, alcuni dei quali non accompagnati. Tra di essi c’era anche una neonata di venti giorni insieme alla madre. Entrambe sono di origine siriana.
Il peso psicologico che questi ragazzi e bambini portano con sé all’arrivo in Italia è difficile da immaginare. La cosa più angosciante è che, attualmente, non sono favorite politiche istituzionali, nazionali o regionali a favore della tutela sanitaria e psico-assistenziale per i minori stranieri non accompagnati, specialmente per quanto riguarda la sindrome post-traumatica da stress. Le iniziative, in tal senso, sono locali e isolate, non esiste una politica ufficiale dedicata.
Qual è la tua opinione sulla normativa italiana attuale riguardante l’accoglienza e la tutela dei minori non accompagnati?
Sotto il profilo formale, ci sono tutti gli strumenti: se devo fare una valutazione leggendo quanto è a disposizione degli enti locali per la presa in carico dei minori stranieri non accompagnati, la giudico adeguata. Tuttavia, se guardiamo a ciò che realmente accade nella pratica, come sistema paese siamo completamente fuori strada.
È importante notare, però, che ci sono molte eccellenze territoriali. La società civile in questo dimostra una notevole capacità di mobilitazione e grande empatia. Numerose persone rispondono prontamente alle nostre grida di aiuto, offrendo il proprio sostegno in qualsiasi modo possibile. Paradossalmente, per Mediterranea, il principale ostacolo è stato proprio rappresentato dalle istituzioni.
Ci sono molti rischi legati allo sfruttamento e alla violenza nei confronti dei minori?
La nostra esperienza diretta ci rende testimoni dei pericoli che i minori affrontano in termini di sfruttamento e violenza durante il loro viaggio. Possiamo percepire questo sui loro corpi, nei loro occhi e, quando ci è possibile, attraverso le loro parole. Assistiamo alla drammatica realtà della Libia e alle difficoltà incontrate durante la prima parte del viaggio migratorio, fino al momento in cui, fortunatamente, li intercettiamo. Il principale compito che ci attende in Italia e in Europa è quello di restituire a questi ragazzi la loro giovinezza. Il percorso del viaggio, soprattutto quando affrontato da soli, costringe questi giovani a diventare adulti prematuramente, privandoli delle esperienze proprie dell’età giovanile e lasciandoli con pochi strumenti per affrontare la vita adulta in modo sano ed equilibrato.
Una testimonianza o un momento significativo che hai vissuto lavorando per mediterranea?
Il salvataggio della neonata di appena venti giorni mi ha colpito profondamente. É stato sconvolgente riflettere sul fatto che, se fossimo arrivati anche solo un giorno dopo, avremmo probabilmente recuperato il suo corpo dal fondo del Mediterraneo, poiché la barca su cui viaggiava aveva il motore in avaria da diverso tempo.
Quello che mi colpisce di più lungo le rotte migratorie è l’umanità che emerge. Oltre allo strazio e al dolore, ciò che percepiamo è inspiegabile e difficile da raccontare: i canti e i balli nelle navi dopo aver compreso che siamo loro amici ci fanno riflettere sul fatto che il desiderio di vivere e di sopravvivere emerge sempre, anche nelle situazioni più estreme. Assistere alla resilienza di queste persone e di coloro che operano nei territori è una potente spinta motivazionale per affrontare tutte le difficoltà che dobbiamo fronteggiare come Mediterranea.
Quali sono i vostri progetti futuri?
Abbiamo sempre affermato che il principale obiettivo di Mediterranea è quello di poter cessare le operazioni il prima possibile. Questo implica che non ci sia più necessità né di noi né di una nave per il salvataggio delle persone, poiché nessuno più perde la vita in mare cercando di migrare.