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La ricchezza della diversità e il potere dell’inclusione: condividere le festività

Come la celebrazione della diversità può promuovere l’individualità di ogni cultura. Restare sé stessi per accogliere il prossimo è il passo fondamentale per la creazione di un mondo inclusivo.

Il Natale è una festività estremamente sentita nella maggior parte del mondo occidentale. Luci, alberi colorati ricolmi di doni, canzoni religiose e riti culturali che si ripetono da generazioni per la gioia di adulti e bambini.

Un’atmosfera che si trasmette ai contesti istituzionali come la scuola. 

Cosa accade, però, in una classe quando a comporla non sono solo bambini di religione cristiana?

A raccontarlo è Shata Diallo, esperta di diversità e inclusione e TED speaker. 

Lei è figlia dell’Europa cristiana e dell’Africa musulmana, frutto di due culture diverse e così ricche da sostenerla nella strada della sua carriera. 

Tutto parte da un suo racconto di un Natale di tanti anni fa: “I miei avevano costruito un momento di preghiera collettiva in cui tutti potevano pregare secondo le loro usanze; occhi chiusi, seduti tutti insieme sul divano, vicini, in silenzio e in ritiro. È un aneddoto molto prezioso perché non c’è un abbattimento delle differenze, ognuno era libero di pregare il proprio Dio nella lingua che preferiva, era stato mantenuto il senso solenne e profondo del momento, elogiando le differenze che rendevano uniche le culture della nostra famiglia. Quando ero bambina ho vissuto il Natale come tutti i miei compagni: la colazione golosa del 24 dicembre, i regali sotto l’albero, la tombolata dai nonni. Mio padre ha abbracciato questo momento, e i rituali che lo compongono, come un momento di magia celebrativa, che è un po’ quello che accade in qualsiasi festività religiosa del mondo”.

Partendo dal tuo racconto la prima domanda viene spontanea: come si può spiegare ai bambini la presenza di culture diverse?

C’è un punto fondamentale di partenza che bisogna sviscerare: comprendere cosa significano effettivamente i termini “diversità” e “inclusione”.  La diversità ha a che fare con le nostre caratteristiche individuali e le nostre specificità, l’inclusione, invece, è collegata con la nostra capacità di valorizzare tutte queste differenze. 

Molto spesso il termine inclusione viene erroneamente riassunto con l’assunto che “siamo tutti uguali” ma non è così, pensare secondo questo schema appiattisce le differenze con un impatto enorme sulla società. Ciò che accade, in tale contesto, è che si perde la valorizzazione della diversità e il messaggio che arriva ai bambini, e non solo, è l’eliminazione di specificità con il rischio di creare una narrativa che racconti di tutti ma effettivamente mai di nessuno. 

Un primo suggerimento è sicuramente quello di insegnare la definizione di inclusione, far comprendere ai bambini e alle bambine che siamo tutti diversi e dobbiamo accettarci proprio così come siamo. Il Natale nelle scuole, ad esempio, è un tema. Non dobbiamo modificare il nostro modo di festeggiare, ma anzi continuare a farlo secondo le tradizioni che ci rendono ciò che siamo. Quello che bisognerebbe fare, però, è dare spazio durante tutto l’anno scolastico ad altre festività religiose, esattamente con la stessa intensità. 

Come si può spiegare in modo corretto l’inclusività? 

In una classe o in una famiglia in cui ci sono bambini piccoli, una cosa fondamentale da fare non è tanto spiegare l’inclusività, quanto mostrarla. Gli adulti sono dei modelli di riferimento e come tali sono fonte di ispirazione e imitazione per i più piccoli. Festeggiare in una classe multiculturale, o anche in una famiglia in cui convivono culture diverse, le tradizioni di tutti, farà sì che i bambini crescano non percependo nulla come estraneo: religioni diverse con feste altrettanto diverse e importanti. 

Per quanto riguarda, invece, ragazzi più grandi, magari del liceo, che sanno già bene chi sono e cosa sono, bisogna fare un lavoro più profondo, proprio perché il periodo dell’adolescenza è prettamente egoriferito e, quindi, il contatto con l’altro diventa molto più complicato. 

Bisogna focalizzarci sulla capacità di costruire ponti nelle relazioni con gli altri e per fare ciò è fondamentale approfondire cosa siano i bias: da dove provengono? Come funzionano? Perché ci sentiamo maschi o femmine?

Quello che siamo, ciò che ci piace o meno, deriva tutto dal contatto con il mondo e la capacità di entrare in relazione con gli altri e intraprendere anche un conflitto, inteso come la capacità di porre dei limiti tra me e l’altro, dire “non capisco questa cosa che stai dicendo” “non comprendo questa tua tradizione”. 

Bisogna indirizzarli ad un allenamento nell’accogliere prospettive diverse. Ad esempio, in una classe di adolescenti, si potrebbe far decidere ai ragazzi come vogliono valorizzare eventuali differenze presenti in classe, senza imporre loro delle norme ma semplicemente spingendo tale processo di inclusione. 

Come si potrebbe incentivare l’inclusività anche tra le famiglie degli alunni? 

Questa è una domanda abbastanza complicata. Il processo di inclusività scolastico ha naturalmente dei costi e un impatto nel funzionamento dell’istituzione stessa. Le scuole, al momento, non hanno tanti fondi per poter incentivare dei progetti o degli incontri. Questo è sicuramente lo specchio di un’amministrazione che non pone la giusta attenzione su tali tematiche. Entrare in contatto con altre culture non è solo giusto a livello valoriale, ma è beneficio per gli studenti in termini di mentalità, di innovazione, un tassello fondamentale nel processo formativo.

Naturalmente la scuola non può fare tutto, i bambini e i ragazzi sono in continuo contatto con l’esterno, guardano cartoni animati, film, osservano il mondo che li circonda e imparano; quindi, l’incipit al processo di inclusività scolastico inizia e finisce nelle aule, ciò che accade fuori è incontrollabile, ma resta comunque una parte fondamentale.