Il lavoro di Change the Game per mettere fine agli abusi nel mondo dello sport
Lo sport è spesso un rifugio dallo stress quotidiano, un’opportunità per sfidare i limiti personali, costruire relazioni significative e godere dei benefici fisici e mentali. Tuttavia, dietro il fascino delle competizioni e dei successi, si nasconde un problema oscuro e diffuso.
Negli ultimi anni un diverso tipo di #MeToo ha scosso il mondo dello sport. Sopra a quello che dovrebbe rappresentare un luogo sicuro e inclusivo, infatti, è calata un’ombra dovuta a violenze fisiche ed emotive che, spesso, conducono l’individuo – anche giovanissimo – ad abbandonare lo sport e a rinunciare alla propria carriera per la paura di segnalare gli abusi.
Sono, però, numerosi gli atleti che hanno trovato il coraggio di denunciare gli episodi subiti durante il proprio percorso agonistico, riportando alla luce un problema che, da troppo tempo, era celato all’interno degli impianti sportivi.
Change the Game è la prima associazione italiana di volontari e volontarie, iscritta al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore, che combatte ogni forma di violenza – sessuale, emotiva e fisica – all’interno del contesto sportivo. Abbiamo intervistato Daniela Simonetti, giornalista e presidentessa dell’associazione, per scoprire più a fondo il lavoro quotidiano che Change the Game porta avanti per tutelare gli atleti italiani.
Da dove nasce l’idea di creare Change the Game?
L’associazione nasce circa nel 2018 spinta dal fatto che nel nostro Paese non ci fosse nulla di simile a tutela degli atleti. Ai tempi, con i ragazzi che oggi compongono il gruppo, avevamo la percezione che gli abusi all’interno degli impianti sportivi fossero ormai diventati sistematici ma che, nonostante questo, ancora trovassero pochissima rilevanza presso l’opinione pubblica. È così che abbiamo pensato di offrire una spalla forte ai ragazzi in difficoltà, spesso soli e incompresi, costretti a dover rinunciare allo sport per la paura di denunciare ciò che gli accade. Ci siamo aperti all’ascolto e abbiamo dato, alle richieste d’aiuto, l’importanza che queste meritano.
Gli atleti, quindi, vi intercettano per denunciare gli episodi di abuso di cui sono stati vittime: ma come possono contattarvi?
Per facilitare l’accesso dei ragazzi alla nostra associazione abbiamo scelto di aprire uno sportello online chiamato “Ti ascolto”, un form compilabile sul web al quale, una volta inviato, verrà data risposta in pochi minuti. Ci siamo resi conto, però, che molte richieste arrivano anche via social: gran parte delle vittime sono giovani adolescenti che scoprono Change the Game direttamente dai canali che quotidianamente utilizzano e decidono per questo di scriverci direttamente nelle apposite chat.
Come agite una volta ricevuta la richiesta di aiuto?
Generalmente, se è un minore a contattarci, procediamo contattando i genitori e, dopodiché, prendiamo in carico la denuncia. Ciò significa che offriamo un percorso di assistenza completo alla vittima di abuso. Assistenza terapeutica, sostegno psicologico e assistenza legale: è questo che offriamo ai ragazzi e lo facciamo senza addossargli alcuna spesa, perché crediamo nella solidarietà e nell’impegno del volontariato offerto dai componenti del nostro gruppo.
Vi circondate, quindi, non solo di volontari ma anche di figure professionali?
L’associazione raggruppa professionisti di diversi settori, come quello terapeutico e quello giuridico, esperti di ciò che rappresenta la giustizia sportiva. Questa, infatti, deve essere presa in carico da persone molto competenti. Nei casi di denuncia, il processo sarà impostato come una vera e propria inchiesta: saranno necessarie prove e testimoni da presentare in tribunale. Gli esperti nell’ambito sportivo sono necessari anche per la conoscenza delle diverse regole, poiché cambiano tra le varie Federazioni e tra i vari Enti, ed è fondamentale conoscerle a fondo ed essere preparati per intervenire in maniera corretta.
Quello che state facendo è sorprendente. Il tema sta avendo, inoltre, un grande impatto a livello mediatico. Crede che i vostri sforzi abbiano contribuito a farlo emergere almeno in Italia?
Il nostro lavoro ha sicuramente aiutato a dare un’accelerata nel nostro Paese, e l’ho potuto constatare dopo la pubblicazione del mio libro, “Impunità di gregge”. Neanche io credevo che potesse far “esplodere una bomba” su tutto il mondo sportivo ma, dopo averlo scritto, le persone con cui parlavo e i miei colleghi giornalisti mi hanno fatto notare di quanto stesse crescendo l’attenzione sul tema.
Perché si scoprono soltanto oggi abusi che appartengono a un passato anche lontano?
L’occultamento di questi episodi è legato soprattutto agli introiti finanziari: questo stigma nel mondo sportivo può avere un prezzo enorme in termini di perdita economica.
Un report presentato da Terre De Hommes, associazione con la quale collaboriamo, ha rivelato un dato sconcertante: in sei paesi europei – tra cui Austria, Belgio, Germania, Romania, Spagna e Gran Bretagna – il 75% degli atleti racconta di aver subito almeno un’esperienza di violenza prima dei 18 anni. Lo stesso studio verrà portato avanti anche in Italia, ma già da questi dati possiamo comprendere come la violenza sia un’azione sistematica e totalmente impunita dentro agli impianti sportivi. A questo possono seguire varie ragioni, prima tra tutte quella economica già anticipata; ma non solo: un altro motivo per cui non viene presentata alcuna denuncia è dovuto al fatto che i ragazzi non sanno più distinguere quando si tratti di violenza. Spesso ritengono legittimo il comportamento dell’adulto semplicemente per il ruolo che ricopre. Tutto questo dovrebbe innescare un vero cambio culturale: i tecnici sportivi dovrebbero essere formati.
La domanda è banale ma può essere rivelatoria per i lettori: quali tipi di violenza si registrano all’interno degli impianti sportivi?
La violenza sportiva non è molto diversa da quella a cui siamo abituati, ma ha delle sfaccettature che non sempre vengono ritenute degne di denuncia. Le persone, per associazione o per espressione, pensano alla sola violenza fisica, ma spesso dobbiamo approfondire il concetto nelle sue più vaste sfumature.
Tra gli abusi più frequenti troviamo il “child grooming”. In questo caso vediamo tecnici che rivolgono particolari attenzioni ai bambini per farli sentire speciali, ad esempio, facendogli regali o offrendogli semplici passaggi in macchina. In realtà questa, in determinate circostanze, vuol essere solo una marcia di avvicinamento all’abuso vero e proprio.
Troviamo poi la violenza emotiva che passa attraverso l’umiliazione, la punizione, l’esclusione e il body shaming. Questi tipi di abuso possono essere molto dolorosi perché ledono l’autostima – ancora in evoluzione – del bambino e/o adolescente.
Esiste poi la violenza apportata su un corpo immaturo che si registra quando il bambino viene costretto ad allenamenti intensi, di otto o nove ore, per poter generare quella che io chiamo “fabbrica dei fenomeni”. Il fatto, in questo caso, è che i bambini potranno avere nel futuro gravi problemi di salute ai quali non viene data la giusta considerazione. Con questo si apre anche il discorso del diritto all’istruzione: si toglie del tempo alla scuola, che viene sottovalutata, perché si vuole crescere atleti forti senza pensare al futuro che li attende dopo la carriera agonistica.
Da non sottovalutare sono anche i casi di negligenza, come il fatto di non accertarsi della sicurezza dell’ambiente e degli strumenti necessari all’allenamento, presentando attrezzatura non in regola, non sufficientemente idratata e pericolosa per il bambino.
Infine, non meno importante o conosciuta, la violenza sessuale con o senza contatto: ricordiamo, infatti, che questa avviene sempre laddove manca il consenso. Dobbiamo sottolineare che quello sportivo è un mondo esposto a questo tipo di abuso per tre principali motivi: gli spogliatoi, la trasferta, l’insegnamento dell’esercizio – nel quale vengono toccati punti erogeni del minore senza rispettarne i confini.
La violenza senza contatto può avvenire, invece, sul web nel momento in cui vengono richieste foto del corpo. È una pratica, purtroppo, molto diffusa: con la scusa di vedere progressi o di accertarsi che l’atleta sia abbastanza magro/a – e anche in questo si dovrebbe aprire un’altra grande parentesi – si chiede foto del corpo seminudo.
Grazie alla maggiore consapevolezza sul tema, la situazione all’interno degli impianti sportivi è cambiata?
Credo che a cambiare sia più che altro l’attenzione mediatica che ne viene data. Molto spesso però, questa non combacia con evoluzioni reali nel “backstage”. In certi casi, l’attenzione dell’opinione pubblica ha portato alla creazione di ulteriori abusi: è successo che bambini, adesso consapevoli delle sofferenze emotive causate dall’ambiente sportivo, abbiano richiesto di cambiare o lasciare la squadra, non riuscendo però a ottenere lo svincolo. Ancora una volta i motivi sono principalmente monetari. Per noi questo deve essere considerato un abuso nell’abuso. Ci sono bambini tenuti in “ostaggio” per la quale è necessario fare un appello, chiedendo che gli sia dato il nullaosta per lasciarli andare in luoghi più conformi ai loro bisogni, aspettative o desideri. Siamo arrivati a scene sconfortanti, con bambini che si fanno del male fisico per cambiare club o associazione ma, anche di fronte a questo, nulla è cambiato.
Come si potrebbe raggiungere una vera svolta?
Credo che dovranno passare almeno due generazioni per cambiare questa situazione. È necessario formare dei nuovi professionisti con un’idea diversa e corretta di disciplina, oltreché inserire uno psicologo sportivo formato sui temi. Attualmente, le Federazioni e gli Enti presentano un personale medico interno e, più spesso di quanto si pensi, accade che gli venga richiesto di nascondere gli infortuni del ragazzo o di minimizzarne i problemi fisici. Se non costruiamo una cultura del rispetto verso gli atleti, difficilmente l’attuale condizione potrà avere un risvolto positivo.
Come vede il futuro della vostra associazione?
Vorrei formare dei giovani attraverso un percorso anche scolastico, perché il futuro sono loro. La mia ambizione è che si crei un movimento interessato sia al volontariato che allo sport in grado di continuare a far crescere e, perché no, a migliorare ciò che abbiamo creato.