Skip to content

Gli psicologi nella scuola: “Creiamo una spazio per trovare (e mostrare) sé stessi”

“C’è una forte pressione alla prestazione al conformarsi per evitare l’esclusione sociale, preoccupanti segni di autolesionismo e un peso della sessualità minore di quanto si creda. Sui temi cruciali come le relazioni, il consenso, i diritti, le emozioni e la libertà di scelta, è importante avere la possibilità di fare una pausa e mostrare i dubbi e le incertezze senza paura di venir giudicati. Il nostro compito è fornire uno spazio sicuro dove farlo” ci spiegano le psicologhe Fabia Procarione e Laura Cecchetto in un’intervista che esplora l’importanza dell’intervento psicologico per promuovere il benessere dei giovani.

La scuola, insieme alla famiglia, è la principale agenzia di formazione e di socializzazione dell’individuo, uno dei perni su cui far leva per promuovere il benessere integrale dei ragazzi. La scuola è un luogo di vita, dove si sperimentano molteplici incontri tra coetanei, dove si impara la convivenza civile e a relazionarsi con gli adulti. Lo Sportello d’Ascolto Psicologico e i progetti di gruppo, sempre più diffusi nelle scuole pubbliche e private, fanno parte di un’iniziativa più ampia tesa a valorizzare l’individuo nella sua interezza e a stimolarne una crescita tanto cognitiva quanto emozionale. Ne abbiamo parlato in questa intervista con Fabia Procarione, psicologa presso Centro di Psicologia Tangram e Laura Cecchetto, ricercatrice, psicologa presso Tangram e psicologa scolastica.

Qual è il ruolo dello psicologo nelle scuole e come contribuisce al benessere degli studenti?

In Italia, la presenza dello psicologo scolastico è una scelta delle singole istituzioni, poiché non esiste una legislazione che ne imponga l’obbligo. Ogni istituto decide autonomamente se attivare progetti o sportelli d’ascolto. Lo psicologo è presente, prevalentemente, nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, quindi alle medie e alle superiori, e meno nelle scuole elementari. Alle medie, sono frequenti progetti su affettività, sessualità, bullismo e utilizzo consapevole delle nuove tecnologie. Alle superiori, invece, è più comune trovare sportelli di ascolto con lo psicologo scolastico.

Negli istituti scolastici italiani, è comune scegliere di avere uno psicologo, oppure molti decidono di non includere questa figura?

La maggior parte delle scuole sceglie di avere uno psicologo, grazie anche ai fondi e progetti europei che supportano questa scelta. Alcune scuole optano per progetti specifici gestiti da esperti, mentre altre utilizzano spazi-ascolto gestiti da insegnanti. Tuttavia, la tendenza è di avere sempre più psicologi esperti nelle scuole, poiché i benefici sono evidenti.

Quali benefici riscontrano gli studenti grazie alla presenza dello psicologo?

Lo psicologo rappresenta una figura di mezzo, un adulto di fiducia che offre uno spazio sicuro e neutrale. Attraverso spazi di ascolto e vari progetti, aiutiamo i ragazzi a porsi domande, anche quelle più scomode, e a elaborarle, facilitando così la comprensione, l’apertura emotiva e promuovendo un ambiente di supporto e crescita. Lo psicologo non è solo a disposizione degli studenti, ma anche dei docenti, del personale ATA e delle famiglie.

Ci sono molti ragazzi che richiedono il vostro appoggio oppure la figura dello psicologo è vista come un tabù?

Come sportello scolastico, sì, riceviamo molte richieste di supporto attraverso lo spazio ascolto.

A differenza delle generazioni precedenti, oggi si parla molto di più di problematiche emotive, anche grazie ai social media. Questo aiuta molti studenti a esplorare le proprie esperienze e sentimenti in modo più aperto. Nonostante questo, però, c’è ancora un tabù intorno alla figura dello psicologo.

In che modo la presenza dello psicologo può sostenere la crescita cognitiva ed emotiva degli studenti?

Lo psicologo crea un ambiente di dialogo unico e un rifugio sicuro per esplorare domande difficili da affrontare altrove. In un’epoca in cui molte risposte sono a portata di clic su Internet, aiutiamo i ragazzi a sviluppare prospettive personali che non necessariamente sono uguali per tutti. Il nostro ruolo è anche quello di porre il focus sull’individualità e l’unicità delle persone e far capire che ognuno deve trovare le proprie risposte.

Qual è la natura del progetto che proponete sull’affettività e la sessualità?

L’affettività e la sessualità costituiscono un ambito estremamente vasto. Spesso si pensa che i progetti in questo settore si concentrino principalmente sulla sessualità, ma in realtà questa ne occupa solo una parte marginale. I progetti sono principalmente rivolti agli studenti delle scuole medie, un’età caratterizzata da molte domande, avvicinamenti e timori verso questo tema. In questa fase di crescita, i ragazzi attraversano momenti di sviluppo fisico ed emotivo diversi, e il progetto tiene conto di queste eterogeneità. Questo progetto si concentra principalmente sulle relazioni tra coetanei, sul rispetto reciproco e sul consenso. Il nostro obiettivo è promuovere l’autodeterminazione e la libertà di esistere pienamente. Vogliamo offrire agli studenti la possibilità di scegliere autonomamente, un aspetto cruciale per noi, considerando che l’influenza del gruppo di pari può talvolta limitare questa libertà di scelta. Alla fine dei progetti, osserviamo che gli studenti hanno sviluppato una maggiore consapevolezza nelle loro interazioni reciproche e una migliore comprensione di sé stessi.

Quanto e quando è giusto entrare nel tema dell’educazione sessuale con i bambini e con i ragazzi? È giusto aspettare che siano loro a porre le prime domande oppure è giusto anticiparle?

Credo che la risposta sia nel mezzo. È fondamentale essere pronti ad accogliere le domande quando sorgono e creare spazi e momenti adatti per farlo. Attendere troppo potrebbe comportare il rischio che queste domande non vengano poste affatto.

Viviamo in un mondo in cui i giovani possono trovare risposte altrove: sui social network, Google o dai propri coetanei. Il tema della sessualità rimane un tabù, rendendo difficile per i genitori affrontarlo direttamente ed è più semplice per i ragazzi cercare risposte autonomamente, spesso in contesti che promuovono una dimensione prestazionale e idealizzata. Questo può aumentare le pressioni per adattarsi a certi ideali per essere accettati.

Tornando alla domanda ‘quanto e quando’, i ragazzi hanno ritmi di sviluppo diversi, e non tutti sono pronti allo stesso modo per discutere certi argomenti. Tuttavia, promuovere un’educazione emotiva e affettiva fin dalle elementari significa offrire uno spazio più ampio per esplorare, mettersi in gioco e comprendere sé stessi e gli altri nelle relazioni. È essenziale adattare gli interventi alle esigenze e alla maturità dei ragazzi personalizzando gli interventi classe per classe, rispettando la prontezza e l’interesse degli studenti.

Come mai è così difficile parlare di sessualità?

La sessualità parla tantissimo di noi e in una società in cui la prestazione conta così tanto mettersi a nudo può spaventare molto. È difficile porre delle domande che rivelano qualcosa di molto personale. Inoltre, la sessualità è ancora un grande tabù, qualcosa di intimo di cui non si riesce a parlare liberamente. Quanti genitori discutono di sessualità con i propri figli? E se i genitori non ne parlano, come possono i figli sentirsi liberi di affrontare l’argomento?

Aspettare troppo per discuterne comporta il rischio che i ragazzi affrontino situazioni senza avere gli strumenti necessari. Lo psicologo a scuola è utile anche per questo: insegniamo ad avvicinarsi a certe esperienze con consapevolezza e nei tempi giusti, in modo da rendere significativa qualsiasi prima volta, che si tratti della prima cotta, del primo bacio o del primo rapporto sessuale.

Più occasioni si creano per affrontare queste tematiche, più queste difficoltà, che ancora oggi si palpano, possono diminuire.

Quali sono le problematiche più comuni che emergono durante la fase adolescenziale e come lo psicologo può intervenire?

Stiamo osservando un significativo aumento dei casi di autolesionismo, un problema crescente secondo la SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) che ha rilevato un incremento del 27%, tra ragazzi e ragazze dai 13 ai 17 anni, rispetto al periodo pre Covid-19.

In adolescenza, la problematica più comune riguarda la relazione sia con sé stessi che con gli altri. Viviamo in un mondo in cui è difficile aprirsi emotivamente e spesso percepiamo segnali di un’intensa emotività repressa e confusa, che rimane imprigionata dentro i ragazzi a causa della difficoltà di esprimerla. Un modo per gestirla è il dolore fisico, che appare più sopportabile rispetto al dolore psicologico.

Un’immagine che utilizzo frequentemente per rappresentare la realtà adolescenziale odierna è quella della giungla. È un ambiente pericoloso, sfidante in cui la fragilità e le preoccupazioni sembrano non avere spazio. Lo psicologo offre un luogo sicuro dove affrontare queste difficoltà, ordinare i pensieri e ampliare le possibilità di scelta e di costruzione del proprio mondo. Questo spazio permette ai ragazzi di confrontarsi, sperimentare fiducia e scoprire nuovi aspetti di sé stessi.

Un’esperienza che vi è rimasta particolarmente a cuore?

Fabia: Un momento particolarmente significativo è osservare come alcuni ragazzi, partecipanti ai nostri progetti di gruppo, trovino valore nello spazio di ascolto individuale. Dopo gli incontri di classe, hanno l’opportunità di prenotare un colloquio personale. È sorprendente notare come l’esperienza si trasformi nel passaggio dal gruppo all’individuale, permettendo di esplorare dubbi, domande e insicurezze che spesso non riescono ad affrontare in classe. Molte volte mostrano una sicurezza esteriore che nasconde difficoltà interne profonde. Questo spazio sicuro diventa essenziale perché consente loro di mostrare la vulnerabilità e trovare il supporto necessario, rendendo ancora più tangibile l’importanza della figura dello psicologo.

Laura: Un’esperienza che mi ha profondamente toccato è avvenuta durante un progetto con una classe terza delle medie. Abbiamo proposto un’attività in cui chiedevamo loro di esplorare il concetto di relazione sentimentale attraverso la musica. I ragazzi, divisi in piccoli gruppi, dovevano scegliere una canzone che rappresentasse per loro questo tema. Quasi tutti hanno scelto ‘Il Doc 3’ di VillaBanks, una canzone con un linguaggio volgare ed esplicitamente sessualizzato, che oggettivizza la figura femminile. In contrasto, un solo gruppo ha selezionato una canzone di Pino d’Angiò.

La canzone di d’Angiò racconta una relazione molto più abitabile, in cui ci si piace, ci si guarda, ci si avvicina. Con calma. Quando ho chiesto loro come si sentivano esplorando entrambe le dimensioni, quella caratterizzata dalla prestazione sessuale e quella della relazione, ho visto un cambiamento nei loro atteggiamenti. C’è stata una sorta di liberazione, un rilassamento dei corpi, che ricordo con emozione ancora oggi: la consapevolezza di potersi permettere di abitare uno spazio abitabile per loro e non semplicemente per conformarsi a un’immagine esterna. Alla fine, anche coloro che avevano proposto le altre canzoni hanno ammesso di sentirsi più a loro agio nella dimensione rappresentata dalla canzone di Pino d’Angiò.