Educare all’uguaglianza
In collaborazione con Pazienti.it
Pregiudizi, discriminazioni, “paura del diverso”: è importante che sin da piccoli ci sia grande attenzione alla trasmissione di valori di uguaglianza e rispetto e, in questo, chiave è il ruolo degli educatori.
Ne abbiamo parlato con il dr. Giuseppe Iannone, psicologo e psicoterapeuta.
Quali sono i pregiudizi più comuni tra le nuove generazioni?
Partirei innanzitutto dalla definizione di pregiudizio. Il pregiudizio è un´opinione preconcetta, capace di fare assumere atteggiamenti ingiusti, specialmente negli ambiti del giudizio e dei rapporti sociali. I pregiudizi possono riguardare diversi ambiti. L´identità di genere, l´etnia, il colore della pelle, la lingua madre, la costituzione fisica, determinate caratteristiche psicologiche e personologiche, l´appartenenza a un movimento religioso o politico, persino il tifo nello sport può diventare fonte di discriminazione e di emarginazione.
Dove vengono assorbiti?
Da più fronti direi. In primis dalla famiglia, prima cellula della società chiamata ad abituare i ragazzi alla diversità. Dalla scuola, in secundis, quando tace di fronte ad atti di bullismo, discriminazione o intimidazione. E dai new media: l´aderenza a un gruppo implica che vi possa essere un gruppo o un individuo rivale che, de-umanizzato, può diventare bersaglio di svariate forme di pregiudizio.
Qual è o quali sono le sensibilità dei più giovani sulle discriminazioni?
Una ricerca del 2006 condotta da Health Styles ha evidenziato che la discriminazione e le idee sono prevalenti tra i giovani e i giovani adulti. Nello specifico lo studio ha indagato le discriminazioni legate alla salute mentale e i risultati dell’indagine suggeriscono che, per i giovani adulti di età compresa tra 18 e 24 anni, circa uno su cinque crede che una persona con una malattia mentale sia pericolosa. Credo sia un dato interessante perché aiuta a comprendere da dove può nascere la discriminazione: è spesso la paura dell´altro, in quanto diverso da noi, a fungere da pre-testo per la discriminazione. Se ti tengo lontano, se ti affibbio un´etichetta, mi fai meno paura, riesco a controllarti. Va da sé, quindi che abituare i più giovani (ma anche tanti adulti!) alla diversità possa fungere da potente antidoto contro ogni forma di discriminazione.
Etnicità e genere sono tensioni che i giovani supereranno o rimarranno fronti caldi?
Per quanto riguarda l´etnicità, sono convinto che, proprio come è già successo in altri Paesi con una storia di immigrazione simile alla nostra, l´integrazione tra diverse etnie si stia già attuando, soprattutto tra i giovani e i giovanissimi. Basta entrare in qualsiasi scuola per accorgerci di come “colorate” siano diventate le classi dei nostri ragazzi e di come la differenza di etnia non funga da pretesto per essere discriminati. Più scottante forse è la questione dell´identità di genere. L’identità di genere è il modo in cui un individuo percepisce il proprio genere. Nella maggioranza della popolazione l´identità (il sentirsi uomo/donna), il ruolo di genere (essere percepiti dagli altri come uomo/donna) e il sesso biologico (i caratteri sessuali maschili/femminili) corrispondono a i caratteri sessuali femminili/maschili (sesso). Si parla in questo caso di persone cisgender.
Ma esistono altri tipi di identità che non sono cisgender. In questi casi, si parla di identità transgender. Per esempio, una persona agender non si attribuisce e/o non percepisce un’identità di genere. Una persona androgina non è identificabile esteticamente né come uomo né come donna, presentando un’identità di genere che risulta un mix tra i due, oppure neutra. Esistono poi persone deliboy o demigirl (persone non completamente maschili o femminili, rispettivamente). E persone gender fluid, ossia che alternano tra un´identificazione maschile e femminile
Sono ancora tante le resistenze, se non addirittura le discriminazioni, che deve subire chi non percepisce la propria identità di genere secondo il dicotomico canone maschio/femmina. Anche in questo caso, però, le nuove generazioni sembrano essere meno bigotte delle precedenti e, quindi, più inclusive.
Come si costruiscono pensiero e consapevolezza a scuola?
Viviamo nell´era della tecnica, che è la forma più alta di razionalità mai raggiunta dall’uomo. Credo sia compito di una buona scuola allenare i ragazzi non soltanto alla performance ma a sviluppare un pensiero critico, meno meccanico e più umano. Ad agire avendo in mente una meta. Tanti giovani sono sempre più affamati di valori, cercano disperatamente di dare un senso alla loro vita. È una fame santa questa. Ed è una fame che va nutrita, anche a costo di sacrificare parte del programma scolastico. La ragione, la verità, l’ideologia, la politica, l’etica, la natura, la religione e la stessa storia sono ambiti del pensare e della consapevolezza che non possono e non devono essere trascurati perché espressione del nostro essere umani e non macchine. Ecco perché ritengo sia un bene che la scuola insegni ai ragazzi a diventare uomini. la relazione pedagogica diventa così la via regia per motivare, incuriosire, affascinare i ragazzi ed educare all´affettività.